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JEROME SULLIVAN

Jerome, ormai sono tanti anni che viaggi nei luoghi più remoti del mondo!

"Eh si, ho appena compiuto 40 anni, è mi sento enormemente grato per essere sopravvissuto a 20 anni di alpinismo. Ne ho passate delle belle...e delle brutte: ho fatto viaggi incredibili con dei grandi amici, alcune volte ho rischiato tanto, troppo, e ho scalato delle montagne stupende che sognavo fin da quando ero ragazzo."

 

Come hai iniziato?

"Sono cresciuto a Bordeaux, nel sud-ovest della Francia. Non ho avuto nessun mentore, nessun maestro più navigato ed esperto che mi abbia insegnato e passato le sue conoscenze. Durante la mia curva di apprendimento, che è stata abbastanza lunga, ho fatto più o meno tutti gli errori possibili. Penso sia un gran bel modo per imparare...se si sopravvive! Mi è sempre piaciuto viaggiare, anche da prima che la passione per l'alpinismo diventasse per me un'ossessione. Penso che la voglia di viaggiare, come quella di scalare montagne, vengano fuori dalla stessa fiamma: un'inestinguibile curiosità. Meno conosco un luogo, una regione, o una montagna, e più questa mi chiama. Così, dopo aver girato in lungo e in largo per i Pirenei e per le Alpi, passare ad esplorare montagne più remote è stato un passo per me naturale."
 

12 anni di spedizioni: cosa è cambiato nel tuo modo di viaggiare? Cosa è rimasto uguale?

"Bella domanda, penso di aver mantenuto una certa coerenza nel mio approccio all'alpinismo. Non ho avuto bisogno di cambiare qualcosa che fin dall'inizio ha riempito la mia vita di gioia e soddisfazione.

Sono sempre stato estremamente ottimista, forse troppo, secondo quanto mi hanno detto a volte gli amici. Se una montagna, o una via, mi sembrava attraente e abbastanza sicura, ero pronto a investire ogni mia energia nella scalata, senza mai pensare che sarebbe stata forse un'impresa impossibile. Per attirarmi una montagna deve essere abbastanza verticale, ma con una linea di debolezza. La roccia deve buona, la posizione così remota da rendere l'avvicinamento un'avventura già di per sé, non ci devono essere pericoli oggettivi elevati.
Ah, e la cordata.
La cordata deve essere formata da amici fidati, per forza. Questa è la cosa per me più importante. Alla fine, con i compagni giusti, ogni avventura su un qualsiasi pezzo di roccia diventa stupenda.
Ecco, questo pensavo quando ho iniziato a scalare e sotto questi punti di vista non sono cambiato."

"Quello che è cambiato invece è il modo in cui scalo. Ho avuto qualche incidente e ho perso dei cari amici. Ora sono più attento nella scelta dei miei obbiettivi. Cerco di tenere un margine di sicurezza maggiore e mi faccio meno problemi a girarmi e tornare indietro. Fallisco più spesso, forse sono diventato più saggio."


 

Ci stai dicendo che sei più vecchio del Jerome che ha scalato il Fitz Roy (via Royal Flush, 1000mt 7c) in stile alpino nel 2011?

"Eh si, per forza. Anni di vagabondaggi in giro per le montagne lasciano il segno, soprattutto nel corpo. Mentalmente però mi sento come quando ero giovane: ho sempre provato ammirazione per i vecchi alpinisti che mantengono alta la motivazione anche con il passare degli anni. Molti infatti si spengono lentamente. I compagni di avventura sono fondamentali per mantere alta la motivazione: la vita tende a diventare più complicata quando si invecchia. Io mi impegno al massimo per restare più libero possibile, e devo dire che sono parecchio bravo in questo, anche se gli impegni e le resposabilità provano sempre a imprigionarmi! In realtà ora sento che voglio passare più tempo scalando vicino a casa, portando avanti vari progetti locali. Le spedizioni prendono davvero tanto tempo..."

 

Guardando il tuo curriculum sembra che la Patagonia sia stato un posto speciale per te, soprattutto all'inizio della tua carriera. Cosa ti ha dato la Patagonia?

"Potrei parlarvi della Patagonia per ore, non so se avete abbastanza tempo!
È un posto così aspro, le forze della natura sono ostili più che mai. Nel giro di pochi chilometri si passa dal deserto alle montagne, le distese di ghiaccio infinite, la giungla, i fiordi...Penso che da nessuna altra parte esista una variabilità tale in uno spazio così ristretto. La natura mostra tutta la sua forza, mentre l'antropizzazione è minima: ingredienti perfetti per una grande avventura!
Tranne che nella zona di El Chalten, dove c'è un paese alla base delle montagne, la scalata è solo una piccola parte del viaggio. L'avvicinamento spesso è una grande incognita, non facile da risolvere, al contrario che da altre parti.
In Himalaya infatti ci sono portatori e guide locali che ti accompagnano per tutti i giorni di cammino. Il campo base è un posto abbastanza comodo, tra cuoco, tenda mensa, eccetera. Se il meteo non è buono, l'avventura del viaggio rimane abbastanza limitata. Ti sei fatto portare il materiale a spasso e hai aspettato in una tenda mentre qualcuno cucinava per te. L'aspetto positivo dell'approccio himalayano è che è bello conoscere la cultura locale e contribuire al turismo, ma lo spirito d'avventura viene in qualche modo a mancare. A volte mi chiedo se il termine "stile alpino" sia appropriato in questo genere di spedizioni...ma questa è un'altra storia...mi sono perso via! Non sto dicendo che sia bene o sia male, ma solo che questo approccio non mi dà piena soddisfazione.

In Patagonia invece gli avvicinamenti sono già un'avventura di per sé. Ricordo molti viaggi nei quali non ho nemmeno scalato, alcune volte non ho nemmeno visto le montagne, eppure ho vissuto esperienze memorabili per tutte le avversità che abbiamo dovuto superare. Giungla, ghiacciai, attraversamenti di fiumi e fiordi...tante sfide che rendono il viaggio molto avventuroso. La scalata poi è esigente: non c'è soccorso in elicottero, in caso di incidente nessuno verrà a prenderti. Questa variabile rende un posto veramente remoto...
In Patagonia ci sono poi le luci magiche dei tramonti e delle albe sullo Hielo Continental, le nuvole lenticolari con forme così assurde e psichedeliche nel cielo azzurro, gli orizzonti infiniti... È davvero un posto unico. Ah, mi stavo quasi dimenticando, l'arrampicata è stupenda!"



 

In Patagonia hai scalato il Fitz Roy, il Cerro Murallon, Cerro Riso Patron, Cerro San Lorenzo, Cerro Adela. Che ricordi hai di queste spedizioni?

"Ho scalato la via Ferrari e Royal Flush al Fitz Roy durante il mio primo viaggio in Patagonia, era il 2011. Mi ricordo un bivacco terribile su una scivolosa cengia ghiacciata. Io e il mio compagno Ponpon ci siamo uniti ad un'altro ragazzo, Remi, che all'epoca conoscevamo appena. Alle 4 di notte Remi ci raccontava storie assurde sulla CIA, ci chiedeva se anche noi sentivamo odore di marijuana. E noi gli rispondevamo che non avevamo idea di che cosa stesse parlando, che stavamo fumando solo tabacco! Eravamo giovani, sfrontati e molto motivati. Mi ricordo che dopo una notte di calate in doppia eravamo così stanchi che ci siamo addormentati appesi ad una sosta appena sopra la terminale del ghiacciaio...

El pillar del sol naciente (1000mt, 7b, A1, M6, WI6) al Cerro Murallon, nel 2012, è probabilmente la via più bella che ho mai salito: una parete remota, 5 amici, 3 settimane in totale autonomia e un pilastro di 1000 metri di roccia stupenda. Non avevamo previsioni meteo, perché la connessione satellitare non funzionava bene.
Questo è stato uno dei motivi per il quale siamo riusciti nella scalata: non c'è mai stata una vera e propria finestra di meteo favorevole, ma noi non lo sapevamo e andavamo avanti. Se le stelle brillavano al mattino, partivamo: "Patagonia old school style!" Dopo una settimana in parete abbiamo raggiunto l'ultimo tiro: 30 metri, una lingua di ghiaccio di cattiva qualità, bianco e scollato. Era l'unica possibilità che avevamo per passare la parete, altrimenti completamente liscia e verticale. Abbiamo provato a salire a mezzanotte, ma il tentativo si è concluso con un lungo volo e una corda quasi tranciata. Quindi ci siamo fermati e abbiamo passato la notte a tremare, per fare poi un altro tentativo la mattina seguente.
All'alba Ponpon è salito per 30 metri di ghiaccio verticale, senza protezioni, solo un piccolo nut alla base del tiro. È sparito alla nostra vista, e noi abbiamo continuato a dare corda per un tempo che mi è sembrato eterno. Un metro prima che la corda finisse lo abbiamo sentito gridarci: "Sosta!". Che sollievo! Quando investi così tante energie nel riuscire in qualcosa e manca così poco, a volte perdi di vista il confine della ragione...nel bene e nel male.

Al Cerro Riso Patron (Hasta las webas, 1000mt, AI5+, M5, 90°, Piolet d'Or 2016), le divinità della pioggia patagonica se ne sono andate in vacanza, in quel settembre del 2015. Normalmente piove una media di 360 giorni all'anno, nei fiordi di quella parte di costa ovest della Patagonia. Beh, noi abbiamo avuto ben sei giorni di sole! Il pescatore che ci ha traghettato dall'altra parte del fiordo ci ha detto che non aveva mai visto una tale finestra di bel tempo. Ovviamente era il nostro secondo tentativo. La prima volta abbiamo avuto tre settimane di pioggia costante, e mi è uscita una spalla cadendo in un crepaccio. Ci ho messo una settimana per raggiungere un ospedale, e rimettere la spalla al suo posto.

Ricordo che quando siamo scesi dalla cima il vento stava rinforzando, e il sole calava sull'oceano, ad ovest. Lo Hielo Continental ad est si è acceso di quel colore blu elettrico che chiunque sia stato in Patagonia ricorda bene. In discesa abbiamo dovuto fare una serie di calate in doppia da un fungo di ghiaccio strapiombante...sembrava di stare in un videogioco! Mi sentivo così insignificante...bastava una corda incastrata, e nessuno ci avrebbe mai più trovato. Quei funghi di ghiaccio erano delle cose incredibili, assomigliavano a delle nuvole, ma erano solide, grandi come grattacieli.




Al Cerro San Lorenzo, nel 2018, abbiamo perso il nostro fornello al primo giorno! Abbiamo deciso di continuare nonostante la sete, perché senza fornello non avremmo potuto sciogliere neve per bere. Quando siamo scesi dalla cima, disidratati, con ancora 24 ore davanti a noi prima di poter trovare dell'acqua, abbiamo visto il fornello, miracolosamente intatto e in bilico su un piccolissimo pezzo di ghiaccio. Abbiamo chiamato la via "la Milagrosa" (1200mt, A3, M7, 6a), il miracolo. Un altro ricordo bellissimo che ho di quella spedizione è la faccia di Martin, disteso in tenda, ormai al sicuro, a valle. Aveva un sorriso di felicità così espressivo, rilassato, mentre ascoltava un po' di musica argentina. La soddisfazione per una cosa ben riuscita, e un sogno diventato realtà.

C'è una storia divertente sulla via Ballas Y Chocolate (900mt, WI5+, A2, M6+), che ho scalato al Cerro Adela nel 2015. Alla base della parete abbiamo incontrato due spagnoli, Santi e Dani, che all'epoca non conoscevamo. È stato assurdo che due cordate, una francese e una spagnola, si siano trovate lo stesso giorno, per scalare la stessa via! Ovviamente abbiamo unito le forze e condiviso una bellissima salita. Ci è sembrato di conoscerci da sempre. Il modo migliore per fare amicizia!"

 

Nel 2014 sei stato in Alaska. Com'è stata la spedizione in confronto alla Patagonia e all'Himalaya?

"Scalare in Alaska è l'esatto opposto rispetto alla Patagonia. Fa davvero strano, perché un piccolo aereo ti scarica nel mezzo del nulla, e in qualche ora si passa dalla civiltà all'isolamento totale. Le Revelation Mountains sono stupende da scalare. Volevamo scalare il Pyramid Peak, una cima inviolata che aveva una parete di ghiaccio e misto interessante. Alla fine abbiamo salito due vie divertenti durante due settimane di bel tempo. In Alaska può fare davvero freddo, è stata la prima e ultima volta che mi sono trovato con le uova fresche congelate al campo base."



 

Groenlandia 2018: avvicinamento in kayak e autonomia totale. Un viaggio così lungo e faticoso per scalare solo una via...ne vale davvero la pena?

"Assolutamente si! Prima di partire per questo viaggio non avevo mai pagaiato. Gli ingredienti alla partenza erano 300 chilometri in kayak tra i fiordi per 1700 metri di big wall. Sulla carta sembra una figata, ma quando sono tornato a casa ho giurato a me stesso che non sarei mai più montato su un kayak.
Adesso, dopo un po' di anni, ci posso pensare di nuovo.
È divertente come la mente tenda a ricordare solo le cose belle e cancellare il resto! Ovviamente la navigazione è stata la parte preponderante del viaggio, e per mia fortuna avevo dei compagni più esperti di me. Dopo un paio di giorni a pagaiare ero completamente disintegrato. Mi sono veramente spinto oltre il limite.

Senza ombra di dubbio queste spedizioni "by fair means" sono esperienze incredibili, nelle quali l'arrampicata diventa proprio secondaria. La cosa più bella è avere il tempo di farsi completamente assorbire dalla natura, rimanendo completamente disconnessi dalla routine quotidiana. Ogni pagaiata ti porta più in armonia con ciò che ti circonda, e dà ancora più valore ad ogni metro di arrampicata.
Dopo una settimana di continuo e intenso pagaiare, arrivati alla base della parete che volevamo scalare, l'Apostelen Tommelfinger, ci siamo sentiti come l'equipaggio di Shipton, quando ha trovato terra dopo essere stato a lungo sperduto nel mare. È stata una vera e propria liberazione! Ovviamente dopo la via siamo anche dovuti tornare indietro...faticosissimo, ma ne è valsa la pena."


 

Fallimenti: si parla sempre delle spedizioni si successo, ma le cose non vanno sempre bene come si spera. Che lezioni hai imparato?

"I fallimenti aiutano a fare autoanalisi ed a conoscere meglio le montagne che ci circondano. Sono una parte oscura e intricata del nostro fare esperienza e conoscere noi stessi come alpinisti, soprattutto quando ci prendiamo il tempo per riflettere e parlarne.
Come tutti gli alpinisti che hanno fatto molte spedizioni, ho avuto la mia buona dose di insuccessi. Ho imparato che non si tratta proprio di fallimento, se si torna indietro tutti interi e tutti insieme: in questo caso si tratta più che altro di un'esperienza che fa crescere, come alpinista e come persona. Dico così perché spesso quando qualcosa non va è per problemi relazionali nel gruppo, e questo anche quando sei in compagnia dei tuoi migliori amici. La vera sfida è trovarsi al proprio limite e restare comunque aperti e attenti alle persone attorno, che stanno vivendo la tua stessa intensa esperienza. Una cosa che ho scoperto essere molto pericolosa è l'ossessione. Essere ossessionati da una scalata, tornare e ritornare, senza mai fare un passo indietro e guardare il tutto dall'esterno, può portare potenzialemente ad un disastro. Ho vissuto questa situazione nel 2012, provando a scalare il Cerro Torre. Sono sopravvissuto, ma ho imparato che quando le cose vanno storte, spesso c'è dietro un errore umano. Quella volta si è trattato di troppa motivazione, che ha portato a sottovalutare dei rischi. Direi un classico!"
 

Nel 2020 hai aperto una via nuova sulla parete est della Grandes Jorasses. C'erano le limitazioni agli spostamenti dovute al covid e sei rimasto sulle Alpi. Come è stata questa esperienza?

In realtà volevamo provare a salire in libera una via che era stata aperta in artificiale, sempre su quella parete. Era però tutto bagnato, quindi abbiamo cambiato i piani all'ultimo minuto. Scalare sulle Alpi è molto diverso rispetto alle catene montuose del resto del mondo, ovviamente. Ad esempio una grande differenza è la possibilità di avere accesso alle informazioni. Sulla via, sull'avvicinamento, il meteo, la storia della parete...tutto diventa molto più facile. Questo però non significa che non si possano vivere grandi avventure appena fuori dalla porta di casa! Ora mi sono appena trasferito da Chamonix agli Ecrins, dove gli avvicinamenti alle montagne, in inverno, sono una vera e propria spedizione!


 

Arriviamo alla tua ultima spedizione al Pumari Chhish, altra salita che ti è valsa il Piolet d'Or per la via Crystal Ship (1600mt, M7 6b A2)

"È stato il mio terzo viaggio in Pakistan. La prima volta è stato un fallimento, ma di quelli buoni di cui parlavamo prima, dai quali si torna a casa arricchiti. Poi nel 2021 ho scalato il K13 West. Il villaggio di Khor Kondus non aveva visto scalatori negli ultimi 20 anni, siamo stati molto fortunati ad ottenere un permesso per essere là! Il Pakistan è unico, per l'enorme quantità di pareti ancora mai salite, ma anche per la gentilezza senza fine degli abitanti.
L'avventura al Pumari Chhish è stata perfetta sotto ogni punto di vista, ci siamo divertiti e sento che anche se non fossimo arrivati in cima sarebbe stato comunque un viaggio stupendo. L'estetica della montagna rispettava tutti i miei criteri dei quali vi ho parlato all'inizio: anche se c'erano dei pericoli oggettivi elevati creati dai funghi di neve pericolanti che circondavano la cima. Ci siamo dovuti ingegnare parecchio per trovare una strategia e una strada che ci permettessero di salire in relativa sicurezza.
Abbiamo deciso di salire una via più dura di quella che avevamo pensato all'inizio. Abbiamo pensato che sarebbe stato meglio fallire perché l'arrampicata era troppo dura, piuttosto che correre il rischio di venire spazzati via da una scarica di neve e roccia. La nostra cordata era affiatata e ben bilanciata, questo ci ha aiutato davvero molto. A pensarci adesso sembra ovvio, ma dopo aver attraversato il mondo e aver superato molte avversità, sognando di scalare una montagna per troppo tempo, la testa può fare dei brutti scherzi e non farti valutare bene i rischi!
Il successo ci è sembrato veramente senza speranza fino all'ultimo momento. Questi sbalzi di emozioni aggiungono tanto alle sensazioni che si portano a casa da un viaggio!"


 

Grazie per i tuoi racconti che ci hanno fatto sognare! Non abbiamo capito però cosa ti piace di più fare in montagna, se la roccia, il ghiaccio, o cosa...

"Mi piace molto cambiare seguendo il corso delle stagioni. Alla fine di una stagione di ghiaccio sono davvero contento di passare di nuovo alla roccia con rinnovata motivazione! Penso che avere delle pause e cambiare stimoli mi faccia bene.
La domanda che mi hai fatto è un po' come se io dovessi scegliere tra una bionda e una rossa...perché dover scegliere se posso avere entrambe? Ogni tipo di birra è buonissima!"
 

Lasciando stare le birre, come ti alleni quindi?

"Durante l'inverno mi alleno per l'arrampicata. È un'attività che non perdona se ti dimentichi di lei! Per l'alpinismo invece...semplicemente vado in montagna! Penso che lavorare come guida mi permetta di tenere un buon livello di forma.
Per quanto riguarda l'allenamento mentale...mi basta stare insieme a mia moglie!"
 

Ahahah! Abbiamo capito che non vuoi più parlare di montagne! Cosa ti piace fare di diverso?

"Suono la fisarmonica! Spesso penso che se avessi investito nella musica le stesse energie che ho investito nell'arrampicata, avrei avuto un futuro come musicista! La musica è bellissima, e mi salva soprattutto quando sono infortunato e non posso arrampicare.
Mi piace anche giocare a scacchi, e poi fare liste di cose da fare, e metterci una croce sopra quando sono fatte.
Che soddisfazione!
In questi giorni sto costruendo casa, nelle Hautes Alpes, vicino a Briancon.
 

Buon lavoro allora e buone avventure! 

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