OPPDAL, INTO THE WILD
Guardando la cartina della Norvegia Oppdal sembra nella parte sud, quella vicina. Eppure muovendosi in auto da Oslo si percepisce bene la sconfinata distanza di queste strade e di queste lande desolate, zone collinari scarsamente popolate ed estremamente selvagge. Poco prima di arrivare a destinazione, mentre la luce del giorno se ne va, vediamo, in alto sopra la strada, una striscia di ghiaccio così grande da sembrare irreale. Kongsvollfossen è molto lunga ed abbastanza facile. Perfetta per cominciare, scaldare i motori cogliendo allo stesso tempo una bella perla. Scalandola ci sentiamo in un mare di ghiaccio e ci gustiamo i raggi del sole, così rari quando si pratica questa attività. Navighiamo e saliamo dove ci piace o dove ci ispira di più, le possibilità sono infinite. Ale è stanco, forse dal viaggio o dagli impegni che ha lasciato in Italia, e quando lo metto alla prova su qualche breve muretto si affatica velocemente. "Speriamo migliori" penso tra me e me, ben sapendo la difficoltà delle cascate sulle quali ho intenzione di portarlo.
La mattina seguente ci addentriamo nel canyon di Vinstradalen e tra i vari nastri ghiacciati scegliamo KKK, che appare logica ed invitante. Ad Ale sembra grande, alta e verticale: è messo in soggezione dalla sua imponenza, gli sembra che la cascata ci cada addosso. Io provo a sdrammatizzare e cerco di banalizzare quella che mi ricorda Excalibur, la famosa cascata dolomitica nei Serrai di Sottoguda (BL). Anche oggi Ale scala in maniera frettolosa e nervosa, sia da primo che da secondo, sembra voler scappare dalla situazione nella quale si trova. "Calmati! Quando sali un tiro devi affrontarlo come se fosse una maratona. Respira, riposa, prenditi il tempo che ti serve, non pensare di dover arrivare in sosta il prima possibile. È una prova di consapevolezza e resistenza, goditela!"
Il terzo e ultimo giorno ad Oppdal saliamo Tøftfossen, emblema di questa prima parte di viaggio: il lungo avvicinamento ci mette a dura prova, costringendoci a camminare per ore sfondando nella neve fresca, mentre il vento soffia forte, alzando mulinelli fastidiosi ed intimorenti. Sentiamo la potenza della natura che turbina attorno a noi e ci avvolge in un abbraccio freddo e pungente. La cascata non è particolarmente difficile, sul 4 grado come le due precedenti, ma le condizioni rendono la nostra salita più simile ad un'avventura patagonica. Ancora una volta faccio una piccola variante per mettere alla prova Ale su un tratto un po' più impegnativo, e questa volta lo vedo salire tranquillo e focalizzato, nonostante la verticalità del ghiaccio. Forse il vento e la forza della montagna lo fanno concentrare sul momento presente, o forse ha ascoltato i consigli che gli ho dato il giorno prima.
HYDNEFOSSEN, LA CASCATA NORVEGESE PER ECCELLENZA
Anche se Alessandro sembra a suo agio ogni giorno di più, è meglio non esagerare. Domani si riposa, e ne approfittiamo per lasciare il vento e la natura primordiale di Oppdal e cambiare zona.
Partiamo per Hemsedal con un solo obbiettivo in mente: Hydnefossen. Citando Planetmountain.com: "La cascata norvegese per eccellenza. Non deve assolutamente mancare nel curriculum di un cascatista. Una salita superba...si tratta di un muro completamente verticale, che si supera con 4 tiri di corda. Le soste si costruiscono tutte con viti da ghiaccio e sono prevalentemente scomode, il ghiaccio è molto lavorato e strapiombante, richiede a volte tecnica e forza, ma soprattutto molta resistenza visto la continua verticalità." Adesso Ale fa bene ad essere intimorito. Siamo ancora lontani venti chilometri dal paese quando la vediamo, minuscola, che domina la valle. Più larga che alta, sembra un gigantesco lenzuolo bianco messo a stendere in cima alla montagna, possiamo solo intuire la sua grandezza.
Ale si metterà alla prova su una salita decisamente più impegnativa di tutte quelle che ha salito in vita sua, e per questo abbandoniamo lo stile in alternata che ha caratterizzato le prime cascate del viaggio. Dovrà essere comunque bravo a gestire le energie e dominare le emozioni, altrimenti potrebbe essere che getterà la spugna e saremo costretti a calarci. Speriamo entrambi di no. Lo ammetto, salire questa cascata piacerebbe molto anche a me. Si parte, senza riscaldamento iniziale, subito su terreno verticale come filo a piombo. Questa volta sono io che sbaglio approccio e non mi concentro sul momento presente, con tanto entusiasmo ma troppa fretta: per non fare aspettare Ale e per dargli l'impressione che il tiro sia più facile di quel che è, scalo meccanico ed impreciso. Ho predicato bene, ma razzolo male e affronto il primo tiro come uno scatto e non come una maratona. Sono spaesato da quella enorme parete di ghiaccio, capire dove andare mi costa parecchia fatica e le distanze mi disorientano. Dopo sessanta metri mi fermo dove riesco, accaldato, spossato e con le braccia pesanti. Visto che il tiro mi ha stancato così tanto, non so se sperare che Ale arrivi su abbastanza fresco da riuscire a continuare, o se è meglio che io pensi a me stesso sperando di ripigliarmi. I prossimi tre tiri non si scaleranno mica da soli. Ale è concentratissimo e dà il meglio di sé. Si ferma ogni tanto a riposare le braccia una alla volta, accompagnando le scrollate verso il basso con profondi respiri. Non si appende mai alle corde, è all'altezza della situazione. Bene, allora tocca a me, si fa sul serio: affronto gli altri tiri con molto rispetto e concentrazione sui miei movimenti. È l'approccio mentale giusto, mi ritrovo di nuovo a mio agio sull'elemento ghiaccio, fluido, a godere dell'arrampicata con gioia. Ogni tiro sembra più facile di quello precedente, è il potere della mente. Ale al contrario è fisicamente sempre più stanco, ma resiste caparbiamente con volontà incrollabile. Buchiamo la cornice sommitale e ci abbracciamo stretti. Che impresa!
Il giorno seguente saliamo Storevullen, una bella cascata sempre di 5 grado nei dintorni. Il terzo e ultimo giorno, prima di metterci in viaggio verso l'ultima tappa, facciamo attività di recupero attivo nella comoda gola di Golsjuvet. Ale si impratichisce con gli agganci salendo una candela triturata dai passaggi e poi mi fa pazientemente sicura su qualche tiro di misto.
RJUKAN, UN CLIMAX DI DIFFICOLTÀ
Rjukan è uno dei posti più famosi al mondo per scalare con piccozze e ramponi: comodo, relativamente vicino alla capitale ed all'aeroporto e con ghiaccio spesso di ottima qualità. Approfitto della confidenza che Ale ha acquisito negli ultimi giorni per lanciare la bomba: "Domani facciamo una cascata di sesto grado, in alternata!" Ale è carico, ha voglia di provarci, anche se ovviamente non è convinto del tutto. Io so che l'ho sparata grossa, che ho una grande responsabilità e che se Ale non se la dovesse sentire potrebbe vivere la fine del viaggio come un fallimento. So anche però che l'enorme candela di Juvsøyla è in condizioni perfette, e ho fiducia nel mio amico ed allievo. Tutto fila liscio come l'olio, Ale scala perfettamente a suo agio e mi recupera scattando qualche fotografia. È in estasi. Io ripenso a tutto il percorso fatto dalla nostra cordata negli ultimi anni: questo momento mi sembra il coronamento di una carriera da ghiacciatore, più che di un viaggio. "Dopo questa, Ale, possiamo anche andare a casa!" Mentre ci caliamo sulla cascata, una grossa frana colpisce il canale di avvicinamento giusto appena 15 minuti prima del nostro passaggio. Un miracolo che nessuno venga coinvolto, visti i numerosi ghiacciatori presenti in zona. I giornali il giorno seguente parleranno dell'incidente sfiorato e la polizia indagherà sui lavori della centrale idroelettrica. Noi riflettiamo sul rischio enorme ma ineliminabile che abbiamo corso. Il rischio zero non esiste e il confine tra euforia e tragedia è sottile come la linea tra luce e ombra.
Abbiamo ancora un giorno a disposizione: Ale è stanco psicologicamente e fisicamente dal climax di impegno che sono state le ultime salite e dai sette giorni passati al freddo. Potremmo rilassarci e cercare dei souvenir, oppure salire una facile linea di ghiaccio come defaticamento, ma la mia proposta è differente: si chiama Lipton - WI7. La cascata Lipton prende il nome dall'azienda scozzese produttrice di tè, dato il colore stranamente giallastro del ghiaccio. WI7 è il grado dato alle cascate più effimere e difficili del mondo. Ale accetta con fiducia, la mattina dopo siamo di nuovo al freddo dentro il canyon. Sono concentrato e fluido, tanto il ghiaccio sembra sfidare la gravità e solidificare con forme strapiombanti, tanto io mi salgo leggero, privo di peso e tentennamenti. È come se fossi dentro un palazzo di cristallo, devo stare attento a tutto quello che tocco. Ale scala bene, lotta e arriva in sosta senza mai appendersi alle corde. Ha dato tutto, ha salito il tiro più impegnativo della sua vita, ma Lipton è composta da due lunghezze, quindi siamo a metà. Anche il secondo tiro è lungo e con una difficoltà che non lascia scampo, ma per fortuna la struttura è più solida. "Gio, quando scalerai il prossimo tiro, dimmi com'è. Se è duro come il tiro sotto non ce la faccio a salirlo, sono cotto. Alla peggio recuperi le corde e ti cali in doppia. Io ti faccio sicura e poi ti aspetto qua." Sono commosso dal supporto di Ale che, come uno scudiero, oggi sta facendo il possibile per aiutarmi a raggiungere il mio sogno. Di pari passo, mentre parto per il secondo tiro, mi accompagna la tristezza.
Mi dispiacerebbe se Ale finisse questa esperienza in Norvegia rinunciando all'ultimo tiro. Forse ho tirato troppo la corda, o meglio potevo tenerla un po' più tesa nel tiro prima, per scaricargli un po' di peso ed aiutarlo. Accompagnato da questi pensieri pesanti, come inizio a muovere le piccozze sento le braccia che si gonfiano di fatica. Accelero ma la sensazione di ghisa sale più veloce di me, sono veramente stanco. Prima di allontanarmi troppo dalla sosta e non avere più possibilità di comunicare con Ale, mi giro verso il basso e gli urlo con le poche energie che mi rimangono: "Mi dispiace, devo essere sincero, è più faticoso questo del tiro sotto!" Arrivo alla sosta e tiro forte la corda arancio: è il segnale che sono in sicurezza, lo usiamo quando non ci vediamo e non ci sentiamo. Recupero le corde e con stupore mi accorgo che Ale è partito dalla sosta per provare a salire l'ultimo tiro, nonostante le mie parole poco incoraggianti. Tiro le corde con le ultime energie rimaste per aiutarlo. Sono raggiante, quando lo vedo sbucare fuori dal missile verticale di Lipton. "Oggi il regalo lo hai fatto te a me, grazie!"