Io e Stefan ci siamo incrociati a Chamonix lo scorso anno dove ci siamo ripromessi di organizzare qualcosa insieme alla prima occasione. Propositi di questo tipo spesso finiscono nel dimenticatoio, quasi fossero frasi di circostanza. Nel nostro caso no, è troppo difficile trovare un compagno di cordata disposto a faticare tanto per portare a casa qualche fotografia. Non si potrebbe mai fare con un alpinista che non sia fotografo, non capirebbe.
Ovviamente nemmeno con un fotografo che non sappia andare in montagna. Il buio sta lentamente sfumando mentre a Est il bagliore sempre più intenso mi dice che è ora di tirar fuori la Nikon; troviamo un buon punto per immortalare la cresta che abbiamo appena percorso, ci sediamo e aspettiamo. Questa spesso è la cosa più difficile: vorremmo continuare, siamo davanti e abbiamo un buon passo, tra poco iniziano i tratti rocciosi, canali, diedri. Ma le foto più belle le possiamo scattare in questo punto, quando la luce arriverà. Aspettare, fermi, a 3800m; in un mondo in cui l’unica cosa che sembra contare è la velocità, è bizzarro stare fermi. Penso alla prima domanda che mi faranno gli amici questa sera: “Quanto ci avete messo?”
Apparentemente il tempo è l’unica variabile degna di nota; forse è così per gli atleti, quelli da record, ma per i comuni mortali come noi che importanza può avere il cronometro? Se è vero che uno dei maggiori insegnamenti che ci può dare la montagna è di ricordarci quanto siamo piccoli, vulnerabili, alla mercé dell’immensa forza della natura, forse è anche necessario talvolta rallentare un po’ ed assimilare queste sensazioni. Ma non sono misurabili, e in una società dove dobbiamo misurare e migliorare tutto, non sono ammesse. Mentre il tempo e il dislivello si, quelli si misurano. Sembra quasi che in montagna non sia rimasto nient’altro che conta, nessuno che ti chieda cosa hai provato sulla via, che sensazioni ti ha dato l’ambiente, quale ricordo porterai con te. No, la domanda è sempre quella: “Quanto ci avete messo?”
Le frontali delle altre cordate si stanno avvicinando, smetto di divagare e sollevo la macchina fotografica. Un’ora dopo ci siamo mossi di nemmeno 100m e abbiamo tutte le cordate davanti a noi. Riponiamo le fotocamere, ci leghiamo e ci avviamo su per la cresta. Per fortuna le centinaia di foto scattate non hanno appesantito gli zaini. Ormai è giorno e ora non è importante se questa sera dovremo dire che ci abbiamo messo 5 ore contro le 4 previste. Perché il momento più bello della giornata è proprio stata quell’ora trascorsa seduti sulla cresta, con la reflex in mano, ad osservare un’alba che si avvicinava.
Credits: Paolo Sartori
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