Immaginatelo a volteggiare nel vuoto, allacciato in modo instabile su corde appese ad un gancio, lassù. In mano trattiene una macchina fotografica, nello zainetto qualche ottica di ricambio. Tira l’aria, le corde si intrecciano. Ma a lui non importa. Lo sguardo è fisso qualche metro più in là, verso un atleta che è aggrappato su una falesia con due dita. Il sole arriva con un raggio obliquo, si apre all’improvviso una nuvola. Ecco, è questo il momento magico, quello dello scatto che genera un’emozione.
Lui è Paolo Sartori, classe 1990, il fotografo scalatore capace di immortalare le emozioni dei monti. Nato e vissuto in una valle alpina a Domodossola, al confine con la Svizzera, entra nel team SCARPA® come brand ambassador.
Paolo, partiamo dalle origini di questo tuo amore per i monti. Sei figlio delle vette, ti calza come definizione?
“Ho iniziato a sciare a cinque anni, le prime scalate le ho provate a tredici. Già alle prime uscite con gli amici tenevo nello zaino la macchina fotografica e a poco a poco mi sono accorto che portare a casa qualche scatto era sempre più importante per me. Da allora sono passati anni, avrò immortalato un milione di immagini in tutto, raccontato duecento atleti professionisti. Non riesco ad immaginare la mia vita senza la fotografia tra i monti”.
Le occasioni per spingerti più in là, per andare lontano, per viaggiare non ti saranno mancate. Che luoghi ami ricordare tra quelli che hai visitato?
“Sono stato più volte in California, nel parco naturale di Yosemite, la Mecca per chi ama arrampicare sulle grandi pareti. Ma anche sulla Cordillera Blanca in Perù, in Patagonia e in Giappone, in Norvegia. Conosco l’arco alpino, che è praticamente casa mia, ma son stato anche in Spagna. Mi manca il Nepal, è un viaggio che voglio fare a breve. Ovunque cerco la bellezza, l’immagine perfetta che rappresenti l’anima dei monti”.
Ma a forza di cercare lo scatto migliore, non rischi di farti male?
(ride, ndr). “In effetti un paio di ottiche le ho distrutte, è sempre molto pericoloso fare certi movimenti in quota. Mi è capitato di portarmi via fino a dodici chili di obiettivi. Ma ne è valsa la pena: con quelli sono riuscito a scattare immagini come nessuno c’era riuscito prima; ho colto momenti di luce che con uno zoom normale sarebbero stati impossibili. Ovviamente serve sempre scattare in estrema sicurezza. E mi preoccupo di trasmetterlo anche agli atleti, che a volte durante il momento del click si spingono in posizioni al limite”.
Tra tutte queste immagini, ce n’è qualcuna che ti è rimasta nel cuore?
“Domanda impossibile, questa. Ogni foto ha la sua storia, e magari mi ricorda anche solo il momento in cui sono arrivato in quel luogo. Dovendo citare un’immagine, ricordo con affetto un autoritratto notturno in California, era su uno strapiombo e non si vedeva nulla tanto era profonda la notte. Dovevo fotografare un mio amico, ma lui non se l’è sentita. Allora sono andato io dopo essermi preparato la macchinetta per l’autoscatto”.
Una domanda che molti di sicuro ti fanno, qual è il segreto per lo scatto perfetto?
“È impossibile capirlo fino al momento in cui non accade. Puoi preparare lo scenario, studiare l’angolatura. Ma finché il sole non si apre in una determinata maniera, fino al momento in cui le nuvole non vanno a comporre un preciso disegno nel cielo tutto è normale. La perfezione è qualcos’altro. La “foto immortale” accade quando sei in un luogo da tanto tempo e con l’attrezzattura giusta. Ma quando succede, ti si spacca il cuore dalla gioia”.
E c’è una immagine che devi ancora scattare, ma che sogni di poter mostrare alle persone che ti seguono?
“Ce ne sono tantissime. Tra tutte, un’arrampicata nella luce dell’aurora boreale è qualcosa che nessuno ha mai fatto prima. Sarà complicato sia logisticamente che dal punto di vista tecnico, ma è davvero un progetto che mi stimola e che voglio portare a termine…”
E se questo è il sogno di Paolo il fotografo, qual è quello di Paolo l’atleta?
“In effetti a volte mi domando chi sono. Mi alleno sei giorni la settimana per esser sempre pronto a scalare una falesia o per correre venti chilometri e fotografare un atleta di trail running. Poi ci ripenso, e mi dico che in realtà vivo in montagna perché la amo visceralmente e che uso la fotografia e lo sport per viverla. O forse la verità sta nella sintesi di tutte queste emozioni. Tutto coincide in questo, mi sento di essere un fotografo arrampicatore che vive di vette”.
Credits: Paolo Sartori