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LUCIA CAPOVILLA

Perché ti è piaciuto così tanto?
"Pensavo che per me non sarebbe stato possibile, ma io, da sempre, vivo tutto come una sfida. Ancora una volta quindi mi sono detta che il limite esisteva solo dentro la mia testa. L'arrampicata mi fa usare tutto il corpo e lo fa lavorare in maniera simmetrica. Rispetto ad altri sport poi, non è una ripetizione infinita dello stesso movimento, quindi è davvero stimolante.
Quando sto assieme ai miei compagni di arrampicata, distesa sul materasso oppure in falesia con il naso all'insù, mi sento pienamente coinvolta, al posto giusto. Mi piace il rapporto di amicizia e supporto che si crea. Anche durante le competizioni sento che c'è sempre una buona connessione e poca rivalità."
 
Come ti sei approcciata al mondo delle gare?
"Fare gare è divertentissimo. Ci sono delle vie stupende tracciate apposta per me ed i miei "simili". Tutto l'evento è bellissimo. Mi piace confrontarmi con gli altri, ma sento che per me l'importante è partecipare, sentirmi parte. Purtroppo l'arrampicata paraolimpica deve ancora crescere: per darvi un'idea, sono l'unica italiana amputata di braccia. È davvero un peccato, spero che in futuro le cose cambino!"
 
Quali strategie utilizzi per scalare senza una mano?
"All'inizio usavo un nastro protettivo, perché la pelle è molto delicata e l'osso viene sollecitato quando mi appoggio. Il problema del "tape" è che si arriccia facilmente e presto diventa liscio.
Ho allora ideato, con l'aiuto indispensabile della nonna, un guantino che si potesse mettere e togliere. Non aveva il problema della colla, era un cappotto rivestito esternamente di cuoio, fissato con un lacciolo. L'idea era buona, ma si rompeva di continuo e la pelle si consumava in fretta. Ho provato anche a sostituirla con il jeans, ma niente."
 


Ed è a questo punto che arriva SCARPA
"Sono entrata nel team Scarpa, che mi ha fornito le calzature. Quando ci siamo conosciuti, gli ho portato il guantino fatto da mia nonna. Il team di ricerca e sviluppo era molto curioso e si è subito appassionato al progetto. Hanno creato una stampa 3D per avere una calzata perfetta sul mio moncone, ricoprendola poi all'esterno con la stessa gomma delle scarpette da arrampicata. È difficile arrivare ad una versione definitiva, ogni prototipo ha i suoi pro e contro: ciascuno risponde ad una diversa esigenza, proprio come le scarpette. Quando ci siamo messi a tavolino a progettare, era una cosa nuova, era tutto da inventare! Ora sono quattro anni che ci lavoriamo, se dovesse servire a qualcun altro, basta prendere il progetto e adattarlo. Spero questo possa essere un ulteriore stimolo a mettersi in gioco per altri scalatori amputati."
 
Perché una persona senza una mano dovrebbe voler arrampicare?
"L'arrampicata è stata un tassello importante nel processo di accettazione del mio corpo. Mi ha aiutato a valorizzarlo, senza nasconderlo. Quando parlo di arrampicata, non mi riferisco solo alle gare, che per quanto bellissime rappresentano solo una piccola parte dell'universo verticale. Il contatto con la natura, la roccia vera e le montagne sono per me linfa vitale. Trovare soluzioni ai problemi che mi mette di fronte la vita, che sia salire un tiro di corda su una via multipitch oppure allacciarmi i lacci delle scarpe, è per me una fonte inesauribile di stimolo. È incredibile quello che possiamo fare e raggiungere se solo crediamo veramente in noi stessi!

Photo credits: Riccardo Avola, Marco Iacono, Dimitris Tosidis
Credits: Giovanni Zaccaria
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