Luca Sovilla è una di quelle persone che si nutrono delle montagne. Affamato di chilometri, ha corso praticamente ovunque nel mondo. Bellunese di origine, tutti lo conoscono come “Cranner”, nomignolo donatogli da una signora che, anni fa, sbagliò ad iscrivere il suo nuovo gruppo sportivo. Si chiamavano “Tonic Runner”, sono diventati “Toni Cranner”. Goliardia e passione per la fatica sono i suoi tratti distintivi, un po’ come per tutto il Team dei Peggiori, che rappresenta egregiamente sia per la passione che ha verso le ultra, sia per l’amore del terzo tempo. Da un paio di anni a questa parte è diventato volto noto nella comunità degli skyrunner, è infatti speaker ufficiale di decine di gare. Gli abbiamo chiesto di raccontarci questa nuova avventura.
Un ruolo non semplice, quello dello speaker. Come hai iniziato?
“Tutto è decollato per caso, con una chiamata di Ivano Molin: gli serviva uno speaker per una gara di scialpinismo, quello che aveva fissato non poteva esserci. Non c’erano neppure le casse, ho dovuto improvvisare tutto. Era gennaio, freddo, un centinaio di atleti e non avevo neppure la lista degli iscritti. Ma ero carico e felice. Alla fine Ivano mi ha detto che sarei diventato lo speaker ufficiale di tutti i suoi eventi a Misurina”.
D’altro canto, il microfono è una tua vecchia passione: facevi il cantante rap. Che periodo è stato quello, prima delle corse?
“Fino al 2000 suonavo con la band Cbe, i Cupo Beat Enterprise. Al tempo eravamo forti, facevamo un rap elettronico e hip hop che sul finire degli anni Novanta ci aveva portato ad aprire i concerti di Subsonica, Carmen Consoli, Nicolò Fabi e Max Gazzè, ma anche a vincere l’Arezzo Wave. Eravamo due cantanti, facevamo free style. Quando Ivano mi ha rimesso in mano il microfono è stato come tornare giovane”.
Insomma, dal palco della musica live a quello dell’uomo che deve motivare i runner prima della partenza. Ti senti un po’ star anche adesso?
“Ma no, lo speaker non deve essere al centro dell’attenzione. Gli atleti devono scegliere una gara per il percorso e per l’organizzazione, non per chi urla. Di lavoro mi sveglio alle cinque del mattino, sono autista per un’azienda che opera nel settore ecologico nel Bellunese. Non cerco gloria o soldi, voglio solo divertirmi ed emozionare chi ama la corsa, come me”.
Appunto, emozionare. Che repertorio sfoggi per la tensione della partenza?
“Di solito cerco di far passare il messaggio che la gara è sfida del tutto personale. Qualsiasi sky marathon esiste solo se ci sono gli atleti che la corrono, questo lo dico a chi parte: la gara siete voi, la giornata che vivrete è vostra, tutto questo accade grazie a voi. Divertitevi, sarà indimenticabile: e sarà tutto vostro”.
All’arrivo, invece?
“Chiamo per nome tutti quanti, è sempre bello. A meno che non ci siano le premiazioni, aspetto fino alla fine, fino all’arrivo dell’ultimo concorrente. Ognuno ha portato a casa la sua sfida, vanno ringraziati tutti, ad uno ad uno. A volte sono pure utile (ride,
ndr): alla cronoscalata verso il rifugio del Settimo Reggimento Alpini c’era l’ultimo tratto che era davvero tremendo. Io urlavo che era il momento di dare tutto, di lottare, di non guardare l’orologio. Qualche atleta mi ha ringraziato, diceva che gli avevo fatto migliorare il risultato finale coi miei incitamenti”.
La verità è che lo skyrunner ha bisogno dello speaker nei momenti difficili. Cosa fai ad esempio quando piove?
“La retorica è sempre quella: quella che cade non è pioggia, è gloria. Oppure: il fango è la strada per l’eternità. Ma queste per me sono solo parole vuote. Quello che cerco di dire alla gente è che loro sono lì perché lo hanno scelto, perché sono persone più forti di altre che corrono altrove. Potevano andare al mare a farsi una mezza maratona, sono a meno dieci gradi in montagna ad affrontare una ultra: cerco di convincerli che ce la faranno. Siamo skyrunner, mica podisti da asfalto”.
Da runner a parolaio, da cantante a motivatore di folle. Dove ti porterà questa avventura?
“È iniziato tutto per gioco, ma adesso mi piacerebbe provare a partecipare a qualche evento della Ultra Trail World Tour. Ad esser sinceri, ho pure rifiutato qualche ingaggio: preferisco correrle, certe gare, che raccontarle. Ma in futuro temo che il girovita aumenterà e che mi toccherà correre sempre meno e parlare sempre di più…”