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Dalle scope travestite al pinguino, ecco il Trail Monte Casto

Intervista a Maurizio Scilla, l’organizzatore. Cerco di far amare i luoghi della mia infanzia. Ci ho portato persino le telecamere di Al Jazeera

Maurizio Scilla ha 57 anni e dal 1996 soffre della malattia dei sogni, quella che ti fa correre in montagna alla ricerca della natura e della gioia. Da tredici edizioni organizza il Trail Monte Casto, che quest’anno si corre il 28 ottobre a Andorno Micca, in provincia di Biella. La misura madre è la 46 chilometri con 2.200 metri di dislivello da superare; per chi non ha il fiato c’è la sfida sui 21 chilometri con 900 metri in verticale davanti; per famigliari e amici una passeggiata di nove chilometri. Un evento che ogni anno va sold out, gli 800 pettorali non bastano mai. “Sui sentieri qualche persona in più ci starebbe”, spiega “Mau”. “Ma preferiamo tenere il numero chiuso per la logistica all’arrivo… altrimenti non riusciremmo ad ospitare tutti”.

Evidentemente, il trail piace. Ma ha un segreto?

“Quando l’ho fatto nascere, il mio obiettivo era quello di far conoscere la valle dove sono nato, dove ho iniziato a camminare e correre. Non siamo a Cortina, siamo nell’ultima valle del Piemonte prima della Valle d’Aosta, non ci sono troppi turisti. Il mio sogno era far conoscere a più persone possibili i sentieri che tanto amo”.

Anche se immaginiamo non sia facile organizzare tutto, tra sponsor e burocrazia…

“Ad esser sinceri, anche grazie al supporto di SCARPA® (che quest’anno ha confermato la collaborazione per le prossime due edizioni, ndr), il lavoro è più facile. E poi abbiamo un sindaco, Davide Crovella, che sebbene non abbia il fisico da skyrunner è sempre disponibile. Persino il giorno della gara, lo vedrete dalle sei del mattino girare attorno alla partenza per poi far strada agli atleti a bordo della jeep dell’associazione anti-incendi”.

Passiamo al tracciato. Il Monte Casto dà i brividi, dall’alto. Ma quali sono i luoghi che più ti emozionano del percorso?

“Sicuramente il ristoro al ventiduesimo chilometro. È in fondo alla Valle Sessera, ci si arriva e subito si vede il rifugio Piana del Ponte. È un posto stupendo, che durante la gara si riempie di escursionisti e appassionati che fanno il tifo per gli atleti. È una festa”.

E dal punto di vista paesaggistico?

“Subito dopo, verso il venticinquesimo chilometro, si trovano le baite dell’Artignaga. Un gruppo di costruzioni in pietra, riservate agli alpeggi. Ci si arriva in salita, dopo una pineta. L’apparizione è meravigliosa, ogni anno c’è qualche atleta che mi chiama dopo la gara e chiede di prenotarle per una settimana di vacanza…”



Raccontano che ci siano cancelli severissimi, che basta distrarsi ad ammirare la bellezza dei posti per venire squalificati. È vero?

“No, no di certo (ride, ndr). L’unico pericolo sono le scope. Sono quattro o cinque personaggi che si vestono da carnevale e che stanno addosso agli ultimi senza pietà. Ovviamente nessuna precisione burocratica sui tempi, ma prima o poi bisogna arrivare e il tempo limite è di otto ore…”

Nel corso degli anni sono capitate cose stranissime. Un paio di aneddoti per entrare in clima “Monte Casto”?

“Uno è sicuramente sul meteo, qualche anno fa nevicò al di sopra dei 1000 metri. Era il 30 ottobre, una cosa mai vista. Come non si erano mai viste nel mio paesello di tremila anime le telecamere di Al Jazeera. Ebbene, sono arrivate sul serio. Volevano riprendere la corsa per un programma dedicato ai bambini. Incredibile la mobilitazione che ci fu in Comune per quelle interviste”.

Infine, l’ultima curiosità. Perché proprio un pinguino a simboleggiare la gara?

“Quando dovevamo scegliere il logo, era periodo nel quale si usavano camosci o stambecchi per i trail. Erano le prime gare, non c’era molta inventiva. E allora io ho puntato sul pinguino, per fare dispetto a tutti e scegliere un animale goffo. Ha portato fortuna, se siamo ancora qui adesso a raccontarlo, dopo che SCARPA® gli ha pure messo la felpa addosso. Mi piace troppo, mi fa divertire. Un po’ come correre sui sentieri della mia vita”.

 

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