Domenica 28 gennaio 2018 è accaduta una di quelle cose che cambiano il destino di un atleta. In Andorra si gareggiava per la Coppa del Mondo, c’era la vertical. Settecento metri di dislivello da ingoiare con le lame nei muscoli e il cuore che pompa a mille. Davide Magnini, trentino classe 1997, era in gara tra i giganti della specialità. Ebbene, è arrivato secondo. “Un’emozione indescrivibile, non ci credevo: e pensare che ho lottato per il primo posto fino alla fine”, racconta ancora oggi, a due anni da quella sfida che l’ha consacrato nell’élite mondiale dello scialpinismo. Tra gli addetti ai lavori c’è già chi l’ha ribattezzato “Il predestinato”, perché è fortissimo anche nel trail running: la leggenda Kilian Jornet intravvede in lui un erede.
Insomma, Davide da Vermiglio, nella Val di Sole, è diventato un gigante. Ma da dove inizia questo viaggio, dove nasce la tua passione per lo sport di montagna?
“Credo sia una vocazione scritta nel dna. Mio padre Lodovico era scialpinista, faceva gare di livello nazionale. Mi ha cresciuto con la passione per lo sport, e anche mio fratello Thomas, che ora ha 13 anni, sta iniziando. Avevo tre anni quando ho sciato per la prima volta, a 14 anni le prime gare, sono diventato professionista a 18 e ora scio nell’esercito”.
Tra tante salite e discese, riesci a ricavarti qualche ora per una vita senza sport?
“Mio padre ha due negozi di abbigliamento sportivo, io lo aiuto nella gestione. Dopo il liceo ho deciso di proseguire con gli studi, sto finendo la triennale di ingegneria dei materiali con la tesi e sto valutando il corso magistrale. Vorrei rimanere comunque in ambito sportivo, la ricerca dei materiali perfetti per le attrezzature di montagna è un settore che mi affascina e interessa da sempre”.
Tornando alla tua carriera, a parte la leggendaria medaglia d’argento in Andorra, ci sono altre gare che non dimenticherai mai?
“Il Millet Tour du Rutor Extreme 2018 è stata una esperienza incredibile. Già correre con uno dei miei miti sportivi, Michele Boscacci, era qualcosa di impensabile fino a pochi mesi prima. Poi imporsi in una gara a tappe tanto leggendaria: davvero, non ci credevo. Ma a dover citare anche un’altra competizione, è stata stupenda lo scorso anno l’individual race di Madonna di Campiglio”.
Dai risultati del passato agli obiettivi di questa stagione, a cosa miri?
“Ad esser sincero, mi porto dietro degli acciacchi dall’estate scorsa e un’infiammazione al tendine mi rallenta. Mi piacerebbe competere in qualche gara della Grande Course e in particolare l’Adamello Ski Raid, sulle nevi di casa ambisco ad una bella prestazione. Poi pensavo anche alla Pierra Menta. Vediamo come andrà il recupero”.
Lasciamo la calma eterna della neve in inverno e passiamo all’adrenalina dello skyrunning d’estate. Quale delle tue due anime da campione preferisci?
“In realtà le vedo entrambe come parti complementari della mia vita. D’inverno la stagione dello scialpinismo mi assorbe completamente e baso tutti i miei allenamenti per dare il meglio. Poi però mi stanco e coi primi soli primaverili mi tolgo il chilo e mezzo che pesa lo scarpone e mi metto le scarpe da trail running, mi sembra di volare e sono felice di correre d’estate”.
Tra l’altro, corri davvero forte. Dicono che Kilian ti tema...
“Magari, lui è una leggenda vivente, a tratti sembra più un alieno che un umano. Io sono giovanissimo, ma stargli addosso in certe gare di corsa in montagna, sfiorare i suoi record, sentire che qualche giornalista mi paragona a lui in effetti dà un brivido strano”.
Lo stesso brivido che provi tra le vette?
“Le vette sono luoghi privilegiati, che amo visceralmente. Vivere la natura significa instaurare con lei una relazione che va ben oltre la pratica agonistica. Lo sci alpinismo è uno sport individuale, sono quasi sempre da solo in allenamento. Sono solo col battito del mio cuore e la neve, i colori, i profumi e i rumori dei boschi e in quegli attimi sgorga in me una sensazione di forza che altrove non riesco a percepire”.
Nei monti trovi energia, dunque.
“A volte arrivo a intrecciare con la montagna una relazione quasi alchemica. D’inverno poi, quando tutto è totalmente bianco e avvolto nel silenzio, percepisco una sensazione di estrema libertà e di puro benessere emotivo. Raggiungere luoghi sempre più lontani, vette sempre più pure è il mio destino e spero di non doverlo mai cambiare”.
Credits: Maurizio Torri, Areaphoto, Mauro Mariotti