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ENIGMA ALLA TORRE TRIESTE

Dopo dieci anni di pensieri, dubbi ed altri progetti, nell'autunno 2022 Baù, Beber e Tondini si trovano a Capanna Trieste, si caricano i sacconi sulle spalle e finalmente vanno incontro al loro ormai decennale enigma. Ci mettono sette giornate non consecutive in parete per venire a capo del rebus, scovando una linea a detta loro magnifica, che supera le più rosee aspettative.
È il 4 novembre quando calpestano la neve in cima alla grande Torre e si abbracciano emozionati.
 

“Come sempre, al di là degli aspetti tecnici, è l’esperienza umana a rimanere impressa in maniera più vivida, e questa avventura è stata possibile solo grazie ad un grande lavoro di squadra e ad un affiatamento perfetto. Una volta scesi a valle, decidiamo di ribattezzare la via “Enigma”, per lo stato di incertezza che ci ha accompagnato per tutta la salita, fino agli ultimi tiri, dove la roccia compattissima non lasciava sperare di trovare una via verso l’alto.”


Manca ancora un ultimo tassello per chiudere il cerchio: la ripetizione in libera e in unica soluzione dell’intera via. L'inverno è però arrivato e l’appuntamento è rimandato alla primavera.

“A marzo osserviamo la totale mancanza di neve in Dolomiti e pensiamo: super, ad Aprile andiamo! In fondo la Torre Trieste è in pieno sud, perfetta per le mezze stagioni.”

La primavera del 2023 è invece pazza e imprevedibile, costringe gli alpinisti a cambiare i piani: continuano a guardare il meteo, a riprogrammare, ma non si presenta mai una finestra buona di almeno due giorni. Arriva la fine di giugno, quando ormai il sole estivo rende rovente la parete sud della Torre Trieste.

“Il detto dice la fortuna aiuta gli audaci ed è proprio quello che succede. Abbiamo troppa voglia di scalare e ripetere la nostra via, decidiamo di provarci, comunque vada, il 24 e 25 giugno.
Un abbassamento repentino delle temperature ci fa scalare in maniera perfetta, senza mai togliere l’antivento. Ci alterniamo sui 28 tiri che portano alla cima, incitandoci a vicenda e, pur conoscendola, rimanendo stupiti dalla bellezza ma anche dall’intensità della via. Ci concediamo un bivacco allietato dal fuoco sulla grande cengia a due terzi di parete e il giorno seguente tocchiamo nuovamente la cima raggiunta lo scorso Novembre. L’Enigma è risolto, l’ultimo pezzo del puzzle è posizionato; adesso non rimane che attendere che altre cordate vengano a ripeterla, per darci il loro parere!”

 

Ale, hai aperto in questi anni vie in Civetta, Cima Ovest di Lavaredo, Torre Trieste, oltre a molte altre cime. Stai lasciando il tuo "marchio di fabbrica" sulle grandi pareti delle Dolomiti. C'è uno stile che accomuna le tue vie, oppure senti di aver vissuto un'evoluzione nel tempo?

“Effettivamente ormai iniziano ad essere parecchie, dovrei contarle. Lo stile è sempre lo stesso: apertura in libera a chiodi tradizionali e protezioni veloci. La prima linea importante è stata Chimera Verticale, nel 2009, e lo stile con il quale apro ancora oggi è molto simile. L’unica differenza è che oggi mi interessa molto di più aprire in libera, senza passi in artificiale.
Questo durante le prime esperienze era un requisito meno importante, nel senso che aprivo anche in artificiale e poi si cercava la libera in un secondo momento. Adesso invece si provano le protezioni, si vola e si scala sempre o quasi. Ad esempio in Torre Trieste ho aperto solamente 3-4 metri in artificiale. Ero alla fine di un diedro e c’era un blocco instabile che non potevo rischiare di far cadere, perché era proprio sopra la testa dei miei compagni. Ho quindi deciso di salire in artificiale. Dopo aver rimosso il pericolo, abbiamo scalato in libera anche quel breve tratto che mancava.”

 

Cosa cambia nel tuo approccio mentale quando parti per un tiro in apertura oppure per una libera difficile trad?

“Direi che la differenza maggiore è che in apertura sono consapevole al 100% della qualità delle protezioni che piazzo. Invece in una ripetizione, se ci sono delle protezioni in loco, mi devo affidare alle capacità e al lavoro dell’apritore, è un atto di fiducia. Sicuramente il fatto di sapere la difficoltà di un tiro aiuta, ma a volte in apertura entro in una trance agonistica e un livello di concentrazione che è difficile raggiungere in una ripetizione. Molto spesso nelle libere mi son trovato a sentire più fatica di quella fatta in apertura!”

 

Che suggerimento daresti ad un bravo alpinista che ha voglia di provare ad aprire qualcosa di nuovo?

Intanto è fondamentale imparare a chiodare e avere la pazienza di farlo.

Poi, dal mio punto di vista, è inutile forzare linee molto impegnative quando appena a lato ci sono delle rampe su cui si può salire più facilmente. Oggi l’innalzamento delle capacità arrampicatorie permette di guardare le pareti con un occhio diverso. Per aprire nuove vie bisogna sicuramente salire con le difficoltà, ma è molto importante cercare di aprire delle linee logiche e rispettose delle linee preesistenti. Insomma, come diceva il grande Bruno Detassis: Bisogna sempre cercare il facile nel difficile.”

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