Il tuo carrello è vuoto
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Quando li vedi uscire di casa, uno con lo zainetto e i bastoncini e l’altro che scodinzola, ti sembrano due amichetti che partono per la gita più bella della loro vita. Loro sono Filippo Bianchi, una delle speranze dello skyrunning azzurro e Rusty, il suo cane, un bracco ungherese. “In salita corre il triplo di me”, sorride l’atleta bresciano appena convocato ai mondiali. “Poi si stufa in discesa, ma inseguirlo è il miglior allenamento”.
Filippo, partiamo dal punto più alto della tua carriera. Che gioia si prova a vestire la maglia della nazionale ai mondiali? Il 24 giugno in Polonia a Karpacz avrai 36 chilometri che ti proietteranno nell’Olimpo…
“Incredibile, non avrei mai pensato di poter ambire ad un risultato di questa portata. Il mio preparatore atletico Eros Grazioli era ottimista. Ma vedermi arrivare primo sui 44 chilometri del Val Bregaglia Trail, una misura che peraltro non mi è congegnale… Non ci credevo neppure al traguardo. E ora sono nel gruppo degli otto azzurri, con me ci sarà anche Silvia Rampazzo, altra atleta SCARPA®”.
Sei relativamente giovane per il mondo dell’alpine running. Classe 1990, hai 28 anni. Come decolla la carriera un campione del tuo calibro?
“A me è capitato per caso, o forse per destino. Dopo le scuole superiori ho iniziato la carriera militare negli alpini a Brunico. Lì o si corre o si fa scialpinismo, dipende dalla stagione. Ho capito che la corsa in montagna era la mia passione e la mia inclinazione naturale”.
Ma il momento chiave? Quando ti è stato chiaro che il tuo destino era tra i monti?
“C’è una data esatta: 26 luglio 2015, i 31 chilometri del Gir di Mont, a Premana, che ha pure 2.700 metri di dislivello. Una giornata favolosa, sono arrivato decimo quasi senza accorgermene. Ma la svolta non è stato guardare il tempo, è stata la telefonata di SCARPA®. Quando mi hanno proposto di entrare nel team ho pensato: adesso posso farcela davvero”.
Come sei riuscito a conciliare lo sport con la vita privata?
“Vivo circondato dai monti, quando posso vado a camminare e a far foto. Ho deciso di lavorare da operaio specializzato in una azienda metalmeccanica, coi turni ho un sacco di tempo libero per allenarmi. È dura, ma per ora va bene così”.
I risultati ti danno ragione, la tua carriera è il racconto di una raffica di risultati che ti hanno portato in azzurro. Ma c’è anche stato lo stop del 2016, un edema osseo traditore.
“Quello che non ti uccide ti fortifica, dicono. Star lontano dalla corsa è stato brutale, pensavo di impazzire. Ma poi impari a metterci più cattiveria e determinazione. L’ho superata, ho imparato a dosare le energie nel mio corpo. E i risultati stanno arrivando”.
Lo skyrunning peraltro è sport onesto, o ci si allena o i risultati latitano. Tu hai un segreto?
“Più che un segreto ho un compagno di allenamenti. Si chiama Rusty, è il mio cane dal manto color ruggine. Ha un anno e mezzo, pesa 26 chili di soli muscoli. Fa le salite tre volte, mi è sempre davanti. Poi in discesa lo supero io, che si stanca a correre troppo all’inizio. Ma prima o poi lo capirà…”
Potresti portatelo anche alle gare, magari vince lui…
“Non credo sia possibile (ride, ndr). Anche se ormai è fortissimo. Ho scoperto che anche lui preferisce la montagna, sul piano si stanca a correre sempre forte e allo stesso ritmo. È come me. Se vede che esco dal cancello senza zainetto si ferma, se ho i bastoncini abbaia finché lo porto via. E poi: mi fa compagnia, per un solitario come me è fondamentale”.
Di strada ne avrete da fare assieme, cosa vedi nel tuo futuro?
“Intanto, voglio correre più forte che posso nelle mie dimensioni preferite, attorno ai 20 chilometri. Poi magari potrò allungare le distanze, ma non subito. E mi piacerebbe iniziare ad entrare nel circuito delle world series, viaggiare il mondo correndo in paesaggi stupendi. Magari con Rusty”.