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Francesca Canepa, la conquistatrice dell’UTMB capace di far sognare un’intera nazione

E’ la prima italiana a vincere la gara di alpine running più importante del pianeta. Mi sento un lupo bianco, vi racconto il segreto della rimonta

L’Utmb è la gara più importante del pianeta. Un viaggio epico di 172,5 chilometri e 10.400 metri di dislivello dove i top runner si danno appuntamento per capire chi, tra di loro, ha il cuore, l’anima e i muscoli per vincere dopo aver sfidato il Monte Bianco partendo da Chamonix e correndo sui sentieri di Francia, Italia e Svizzera. Ebbene, per la prima volta la gara è stata vinta da un’italiana. Lei è della Val d’Aosta, si chiama Francesca Canepa, ha 46 anni e nella vita fa la psicologa, corre da anni ad altissimi livelli dopo un passato da snowboarder.

Francesca, complimenti. Sei entrata nella storia dell’alpine running.
“E’ un sogno che si realizza, pazzesco. Era il mio più grande desiderio, volevo a tutti i costi farcela. Ma la cosa stranissima è che in gara praticamente non provavo emozioni, ero come un robot. Era tutto programmato”.

Vuoi dire che sei riuscita a pianificare a tavolino un viaggio tra i monti di più di 26 ore?
“Di solito corro senza pensarci, seguo il momento e le sensazioni. Ma volevo davvero arrivare sul podio o magari vincere questa gara, anche se nessuno avrebbe scommesso su di me. Mentre correvo ero emotivamente sterile, sapevo cosa dovevo fare e come. Semplicemente, l’ho fatto”.

Certo, partivi da molte esperienze del passato. Ti sono servite?
“Avevo già corso questa gara quattro volte, una volta podio e tre ritiri. E sapevo i passaggi ad ogni singolo blocco. Renato (Jorioz, allenatore e compagno di Francesca, ndr) mi ha aiutato, con dati e tempi alla mano. Abbiamo capito i miei punti di forza e debolezza. Nei due Tor che ho vinto ad esempio ai 200 chilometri avevo sempre il miglior tempo, anche sui maschi”.

Insomma, sapevi che avevi le carte in regola per farcela. Ma poi ti sei trovata venti avversarie davanti. Ansia?
“Ero sicura di me: se mi gestivo bene sarei riuscita ad arrivare sul podio senza ammazzarmi. Dovevo solo seguire la mia genetica, senza contrastarla. Potevo anche perdere trenta minuti, più avanti avrei recuperato: capita ogni anno che qualcuno parta forte e poi scoppi”.

Ed è funzionato, davvero. Quando hai capito che potevi sul serio farcela?
“A Courmayeur ormai il piano sembrava andare a buon fine. Ero serena, tutto secondo programma. Poi c’era la Svizzera, tutta da correre. Mi ero tenuta sulle gambe la possibilità di fare la differenza. E a quel punto vedevo le persone per strada incitarmi, qualcuna piangeva”.

Perché nel frattempo ti eri mangiata venti avversarie…
“Scusatemi se mi permetto di dirlo, ma davvero: io volevo vincere, era la mia Olimpiade. Se ci credi davvero, puoi prendere in mano la tua vita e farne una cosa migliore. Con questa vittoria mi sembra di essere entrata nell’anima di tante persone, di aver dimostrato loro che tutto è possibile”.

SCARPA® ti ha fatto i complimenti in una nota, sei la prima atleta italiana a vincere, e inoltre ai tuoi piedi avevi scarpe italiane. Contenta?
“Sì, avevo le SPIN ai piedi, e anche questa era una follia. Sono poco ammortizzate, nessuno le proverebbe per una cento miglia. Ma io corro sempre con l’avampiede, mi serve una scarpa che rimane dove la appoggio, precisa, sicura. E così ho condotto una gara che ha fatto sognare le persone, la rimonta è sempre avvincente. Se fossi stata sempre al primo posto tutto sarebbe stato differente. Ma con la rimonta tutto è diventato davvero epico. Volevo scrivere la storia e ci sono riuscita”.



 

photo: Pascal Tournaire




 

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