Lidia ti guarda fisso negli occhi e non ha nessuna esitazione quando le chiedi chi siano mamma e papà. “I miei genitori sono degli eroi. I miei genitori sono skyrunner”. Lidia ha nove anni e una sorellina di due, Cecilia. A lei far fatica non piace, camminare a lungo la annoia, se c’è una salita davanti preferisce sedersi per terra. Sua sorellina più piccola invece sembra già adesso portata per le camminate, anche se è troppo presto per capirlo del tutto. I sui cento metri valgono più di un chilometro di salita degli adulti.
Voglia di correre o no, potranno far ben poco per cancellare dal loro dna i geni della competitività e della forza muscolare. Sono infatti le figlie di Elisa Desco e Marco De Gasperi, la famiglia italiana più nota nel mondo del trail running. Mamma e papà sono leggende, hanno battuto record su record e portato a casa medaglie che non basta una parete per appenderle. “In effetti, a casa nostra tutto ruota attorno alla corsa e alla gestione dei figli”, sorride Elisa, che oltre ad essere super atleta e super mamma per un periodo ha gestito pure una gelateria. “Stiamo valutando di tenerla chiusa per il periodo invernale, magari usando lo stabile di un parente di Marco, qui vicino. Lavorare tutto l’anno diventerebbe davvero impossibile”.
Ma per raccontare la coppia dei super-atleti di Bormio serve premere per un attimo sul tasto “rewind” e tornare al 2003. Marco aveva 26 anni, Elisa 21. Si erano già incrociati da Juniores, ma la fiamma s’accese a quel raduno di corsa in montagna della nazionale. Lei, giovane promettente. Lui, stella già affermata. “Siamo andati a convivere nel 2007 a Bergamo, poi abbiamo deciso di scappare dalla città e di stare vicino ai monti”, racconta adesso Marco.
Da allora ne hanno raggiunte, di vette. Hanno avuto le due figlie, Elisa è stata eccezionale nei recuperi dopo i due parti. E hanno dovuto inventarsi una quotidianità di allenamenti in solitudine e di calendari incrociati per passarsi le piccole. D’altro canto, si sanno organizzare. “Quando è nata Lidia eravamo entrambi nel clou della nostra carriera”, racconta Marco adesso. “Ma siamo riusciti a trasferirci un mese in Australia, a Sydney, lo stesso. Io uscivo alle sette a correre, Elisa mi raggiungeva al parco e ci davamo il cambio: lei si allenava e io col passeggino facevo il defaticamento”.
Ovviamente tra i due c’è una sana competizione. L’equilibrio è stabile: Marco è diventato una sorta di mentore e allenatore di Elisa, che si affida a lui nelle sessioni di carico particolarmente impegnative. Una volta la settimana, poi, escono in gruppo con degli amici runner. Il problema arriva con le gare. “Tante volte devo chiedere aiuto alle mie amiche”, dice Elisa. Le bambine a volte finiscono nelle mani di organizzatori solerti, che per avere la coppia alla partenza farebbero di tutto: persino improvvisare una sorta di asilo sotto ad un gazebo, al traguardo.
Poi, ogni tanto, capitano delle vicende che sembrano uscire dalle frasi dei baci Perugina. Come quell’arrivo, mano nella mano, alla Bolognano-Monte Velo, in provincia di Trento, gara nazionale di corsa in montagna in salita di 11 chilometri. Era il 2009. “Le donne erano partite dieci minuti prima degli uomini”, dice Elisa, che era appena rientrata da un lungo infortunio per una pubalgia. “Io avevo fatto la mia gara, ero seconda dietro a Maria Grazia Roberti. A pochi metri dal traguardo ho sentito che Marco mi chiamava, era il primo degli uomini. È stato naturale arrivare mano nella mano”.
Hanno vissuto assieme, ovviamente, anche gare non finite benissimo. Marco ricorda la Sierre Zinal del 2016. “L’avevamo già vinta entrambi, partivamo con grandi aspettative. Poi però qualcosa si è rotto, ho capito che non era giornata”. Marco dalle prime posizioni sfila nelle retrovie, si fa raggiungere dalla compagna. “Stava male anche lei, era sesta o settima tra le donne. Poi ha deciso di ritirarsi, stava peggio di me. Non è stata una bella gara, ma a volte accade”.
Di racconti e aneddoti poi ce ne sarebbero a centinaia. Di come due atleti si supportano a vicenda, in particolare quando capitano tensioni con altri colleghi o con la federazione. Di come la fase di forma ottimale di uno possa servire all’altro per ritornare sui binari giusti della competitività. “Anche se poi tutto si riduce all’amore comune che abbiamo per la corsa e per la montagna”, sorridono loro. Lidia e Cecilia li guardano, un po’ diffidenti. Ci sono davvero tanti chilometri da fare, prima di diventare eroi come mamma e papà.
Credits: Giacomo Meneghello