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La crisi di Nikilov, il muro di Francesca e i crampi di Hillary. La stagione di trail running in una fotografia

Alcune gare ti lasciano dentro un’emozione che dura per sempre. Abbiamo chiesto agli atleti del team SCARPA® cosa si porteranno nel cuore di questo 2019
La bellezza del trail running spesso è insita nel coraggio di sfidare l’ignoto. La gara più lunga mai corsa, la forza di superare una crisi, il desiderio di portare comunque a termine la missione. Sia essa organizzare per la prima volta un evento o combattere per ore contro dei rivali, sui quali poi ci si impone solo per una manciata di secondi prima del traguardo. Ecco le giornate indimenticabili di questo 2019 degli atleti del team SCARPA®.

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La prima storia è riassunta da una fotografia, quella che Francesca Canepa ha deciso di postare sulla propria pagina Facebook dopo la spettacolare vittoria sui 130 chilometri (7.400 metri di dislivello positivo), percorsi in 26 ore 11 minuti alla seconda edizione di “Oman by Utmb”. La foto ritrae un muro, quello che ha trovato al centesimo chilometro. “E’ stata una cosa incredibile”, racconta ora. “C’erano 1.200 metri di dislivello verticale da fare praticamente in arrampicata, senza neppure protezioni. Ci avrò messo quasi due ore, è stata una esperienza incredibile che non mi aspettavo, soprattutto in una gara così lunga. Ma con la pazienza con la quale sull’Everest si mette un passo dopo l’altro ci sono riuscita. E la soddisfazione di arrivare prima al traguardo è stata enorme”.

Ma il 2019 per alcuni può essere anche una gara mai corsa. Gil Pintarelli ricorda infatti l’evento che ha organizzato, il Rabbi Alpine Trail in Val di Sole, in Trentino, nello spettacolare parco nazionale dello Stelvio. “Vedere gli altri contenti, sentirsi ringraziare per le emozioni di quel giorno è stato fantastico, meglio ancora che correre”, è questo il suo bilancio per l’esordio da organizzatore. “E’ stata una sfida, perché ho portato amici e rivali, tutta gente che come me ogni domenica va alle gare e quindi sa se un evento è organizzato bene o male”, racconta. “Ma far conoscere loro questi sentieri, che sembrano fatti apposta per il trail running, è stato incredibile: chilometri con scenari sempre diversi, che non ti stancano mai, una natura incontaminata lontana dai soliti circuiti sulle Dolomiti. Sono stato davvero felice. E adesso ci stiamo rimettendo sotto per l’anno prossimo, il gruppo è entusiasta e io con loro”.
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Anche per Nikilov Kiril l’anno resterà indimenticabile per una prima volta, in questo caso la gara più lunga mai corsa, la Pirin Ultra Skyrace nel parco nazionale di casa, in Bulgaria: una cavalcata da 68 chilometri con 4.500 metri di dislivello. “Non sapevo cosa aspettarmi prima di partire, non avevo mai corso così a lungo e non sapevo neppure come organizzarmi per idratazione e cibo sulle otto ore di gara”, racconta lui. “Una sfida che si articola in tre picchi e tre successive discese. Alla fine del secondo sono finito completamente in crisi. Ero tra i primi, ma in quel momento mi hanno superato in molti. Dovevo decidere se arrendermi o continuare a lottare. Io ce l’ho messa tutta in discesa e nella terza salita ho visto alcuni atleti davanti a me. Li ho rincorsi con il cuore più che con le gambe e nell’ultima discesa li ho passati. Alla fine sono pure arrivato terzo, è stato stupendo”.



È poi il turno di Hillary Gerardi, che del suo 2019 porta nel cuore l’eccitazione di una gara che nessuno aveva mai corso prima, la Matterhorn Ultraks Extreme Race a Hohbalm, in Svizzera, un 25 chilometri con 2.876 metri di dislivello selvaggio che l’hanno portata direttamente nella Skyrunner World Series grazie a passaggi tecnici di quasi scalata, corse in cresta a fil di cielo e discese dove era più facile cadere che restare in equilibrio tra terreno friabile e pendii verticali. “Una gara molto tecnica e sfidante”, dice Hillary. “L’emozione della prima volta non si scorda mai”. Anche se poi, forse, la vera cicatrice emozionale che le resterà è un’altra, quella della Livigno Skymarathon, resa complicata dalle nevicate che hanno causato un cambio di percorso all’ultimo minuto. “Ho avuto crampi e problemi di ogni genere in quella gara”, racconta adesso Hillary. “Credevo di non riuscire a portarla a termine, ma ce l’ho fatta, anche se sono arrivata camminando. È stata una lezione di vita: sfidare la montagna è sempre difficile, per concludere le gare spesso serve passare attraverso fatica e dolore che non ti aspetti. Io ho davvero imparato molto a Livigno”.



La stagione di Filippo Bianchi si riassume invece in tre gare. La piùdura, quella che l’ha segnato maggiormente è stata la Pizzo Stella Skyrace in alta Valtellina, al confine con la Svizzera. “Me la ricordo come una delle esperienze più toste della stagione”, racconta adesso. “Si arrivava a 2.900 metri, tratti con la neve e passaggi tecnici di secondo grado: bisognava usare le mani per andare su. Una gara anche lunga, erano 32 chilometri con 2.700 metri di dislivello in tutto. Davvero bella, davvero tosta”. Ci sono poi da segnalare i campionati italiani di corsa, alla Trans D’Havet. Un quarantaquattro chilometri sotto un solleone infernale, particolarmente nella parte finale della gara, con tanto di crisi (poi superata). Ma a Filippo piace ricordare la sua lotta con lo zaino. “Amo correre leggero, lo zaino mi dà fastidio, mi complica i movimenti, non mi fa sentire a mio agio”, dice. “Quando poi l’organizzazione chiede – giustamente – di portarsi via molto materiale obbligatorio vado davvero in crisi. Quella volta mi sono dovuto addirittura andare a comperare delle cose la settimana prima della gara per evitare di finire squalificato”. Infine, la terza gara, quella della gloria: ha vinto il Valtellina Wine Trail sulla distanza dei 21 chilometri. “E’ stata una gara pazzesca, con passaggi mozzafiato in mezzo alle vigne e sullo sfondo le montagne della Valtellina innevate”, racconta oggi. “Abbiamo lottato dall’inizio alla fine, i primi tre sono arrivati in un solo minuto di distanza. Indimenticabile”.




 
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