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Latok I (7145m), Pakistan. La storia è di quelle avvincenti, e comincia nel 1978 quando una spedizione di fortissimi americani, tra cui i fratelli Lowe, tenta la prima salita alla cima. Passano 26 giorni in parete nord, e desistono a meno di 200 metri dalla vetta, respinti dalla tempesta e dalle precarie condizioni di salute di Jeff Lowe: l’impresa viene celebrata come il più eccezionale fallimento della storia dell’alpinismo. L’anno seguente una spedizione giapponese raggiunge la cima, partendo però dal più facile versante sud.
Poi per quarant’anni il nulla.
I migliori alpinisti del mondo si danno il cambio anno dopo anno, ma la cresta nord del Latok resiste ad ogni assalto. Nessuno riesce nemmeno a raggiungere il punto toccato dagli americani nel ’78, un’aura di mistero ed intoccabilità sembra avvolgere la montagna. Fino a quest’anno, quando i russi Glazunov e Gukov salgono fino in cima al pilastro nord, nonostante le avverse condizioni meteo. Poi Glazunov, precipita tragicamente in discesa, mentre Gukov, resiste sei giorni a 6200 metri, prima che un elicottero riesca eroicamente a trarlo in salvo. Infine arrivano Luka, Česen e Tom, che salgono una parte della cresta nord, per poi traversare sul versante sud e raggiungere la cima. Aggiungono così un altro pezzetto, probabilmente non l’ultimo, alla storia di questa montagna!
Luka, com’è nata l’idea di scalare il Latok I?
La storia alpinistica del Latok I è famosa e conosciuta, ma direi che l’idea di scalarlo si è tramutata in progetto circa un anno fa, quando io ed Aleš abbiamo deciso di andare in Pakistan. Poi abbiamo chiesto a Tom se avesse voglia di unirsi a noi, e il gioco è stato fatto. Fin dall’inizio volevamo salire per una linea che fosse il più possibile scalabile in velocità. Per questo motivo abbiamo salito due terzi della cresta, per poi traversare sull’altro versante. Ci sembrava semplicemente molto logico.
Raccontaci le tue sensazioni durante questa avventura, cos’hai provato?
Una delle sensazioni più belle di questa spedizione è stato il passare dal pensiero all’azione: dopo tanto tempo passato a leggere, ascoltare e parlare, l’unica cosa importante era arrampicare, e prendere le decisioni giuste. Devo dire che mentirei se dicessi che non è stata dura...però è stato sempre bello, le condizioni erano perfette, e anche il meteo ha retto per la maggior parte del tempo. La concentrazione ha fatto si che i lunghi scivoli di ghiaccio ci sembrassero in realtà più corti.
Un’altra sensazione che ricordo è legata al “qui ed ora”: in ogni momento eravamo preparati psicologicamente a scendere da un momento all’altro se le cose si fossero messe male. Quindi poi arrivare in cima per me è stata come una sorpresa!
Infine, non meno importante, una sensazione “di pancia”: gli ultimi giorni ho imparato davvero cosa vuol dire avere fame! Ma non potevamo fare diversamente, se ci fossimo portati dietro tutto il cibo che avremmo voluto, non saremmo neanche riusciti a camminare!
Cosa vuol dire scalare il Latok I? Quali sono le difficoltà?
Bisogna stare in movimento e in quota per sette giorni di fila, mantenendo la concentrazione e combattendo la fatica. Una prova di resistenza e concentrazione, non bisogna mai mollare! Non c’è nessun boulder o passaggio duro di M8+ lassù...
C’è qualcosa di simile sulle Alpi?
La salita è lunga 2400 metri, tecnicamente abbastanza facile. È difficile paragonarla con qualcosa di presente sulle Alpi, difficile soprattutto tenere in considerazione tutti i fattori ambientali. Probabilmente se fosse sulle Alpi sarebbe oggetto di salite in velocità come la nord dell’Eiger, o la cresta integrale di Peuterey. Ma il Latok I non hai il lusso di provarlo quando vuoi, non ci sono webcam per verificare le condizioni prima di partire, ed il campo base si trova a 4600 metri, altitudine alla quale la maggior parte delle salite sulle Alpi terminano. Questi fattori cambiano le regole del gioco, e tu devi giocarti bene le tue carte, fisiche e mentali.
Cosa consigli quindi agli alpinisti che vogliono prepararsi per una spedizione?
Suggerimenti su come allenare forza e resistenza si trovano un po’ dappertutto, io vorrei essere un po’ più filosofico. Mi piace andare in montagna per viverla, starci dentro e goderne appieno: il mio consiglio quindi è di non andarci per procacciarsi qualche bella foto da postare sui social network o per sembrare fighi quando si racconta poi la propria avventura in palestra o al bar. Il fallimento è una possibilità sempre reale e presente, che non riduce il valore dell’esperienza. Invece preparare un buon posto per bivaccare, sciogliere neve per poter bere, sono piccole cose di per sé non particolarmente eccitanti, ma che rendono l’avventura bellissima!