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LE AVVENTURE MESSICANE DEI RAGNI

EL SALTO – SHAMADI

Vorrei cominciare dalla via che abbiamo scalato a El Salto, la location non era nuova né per me, né per Simone. Infatti, ormai otto anni fa, su questa parete chiamata “Chaman Wall”, io lui e Marco Maggioni avevamo aperto la via “El chaman loco”.
Questa volta la nostra idea era ripetere la prima via della parete, “Shamadi”, mentre Max e Gio avrebbero trascorso una giornata in falesia.
Era caldo, anzi caldissimo, ed eravamo già stanchi. Chi aveva aperto questa via, Jimmy Carse, pare ci avesse impiegato otto anni, perso tre trapani in apertura e - testuali parole della relazione - usato sostanze non proprio legali per aprire gli ultimi cinque tiri. In effetti, la via era ardita, molto ardita, chiodata malissimo. Spesso si rischiava di cadere male e in zone da evitare. Nonostante ciò, dopo innumerevoli spaventi, chili di pelle distrutta per via del caldo torrido e un drone schiantato sul lato opposto del canyon a causa di un’improvvisa raffica di vento, io e Simone avevamo portato a casa la quarta ripetizione assoluta di Shamadi, come avremmo scoperto solo dopo, ci eravamo proprio divertiti…più o meno!


 

POTRERO CHICO - EL SENDERO LUMINOSO

Le nostre avventure in Messico non erano però finite.
Eravamo lì ormai da qualche settimana, le temperature sembravano essersi rinfrescate e nel nostro “bighellonare scalatorio” avevamo pensato - sotto mia grande pressione - di andare nel posto più famoso e mainstream del “Messico verticale”: il Potrero Chico.
Il Potrero Chico non è altro che una serie di fiamme di calcare con vie di ogni genere, più o meno tutte simili in placca. Tra le varie vie, c’è una linea dritta, perfetta, sulla fiamma più alta. Una linea pazzesca in placca, 600 metri di parete con un sacco di tiri impegnativi, tecnici e di resistenza: El Sendero Luminoso.
E allora ecco l’idea: scalare El Sendero Luminoso in giornata, senza usare le frontali nemmeno per la discesa. Questa volta, il mio compagno di avventura sarebbe stato Giovanni Ongaro.
Gio decise di accompagnarmi, anche se la giornata era partita piuttosto male: la mia schiena bloccata, Aulin e un volo di 10 metri sul secondo tiro. Le prospettive non erano delle migliori e nemmeno il mio umore. Il corpo era freddo e dolorante, i movimenti non erano fluidi, avevo i crampi ai piedi e la scalata era dura.
Dopo un paio di tiri, però, di colpo la situazione si ribaltò. Forse l’Aulin cominciava a fare effetto, il mal di schiena stava passando e iniziai a incatenare un tiro dopo l’altro, tutti in libera e a vista. Gio mi seguiva veloce, ogni tanto cercava di suggerire una pausa, ma l’obiettivo era a portata di mano, non potevamo fermarci.
Dopo circa tre ore da quando eravamo partiti arrivammo alla cengia dove di solito gli scalatori bivaccano, ci avevamo messo solo otto ore per giungere in cima, sfiniti e felici. In pratica, dopo nove ore da quando avevamo attaccato, alle cinque del pomeriggio, eravamo in paese con una birra gelata in mano.
Obiettivo raggiunto, via scalata velocemente e quasi tutta a vista, a parte il rovinoso volo sul secondo tiro…d’altronde, in placca ci sta, mette sempre un po’ di brio in più!


 

LA POPA - EL CACOMIXTLE DE LA NOCHE

Se state pensando che già così avevamo fatto il pieno di avventura, vi sbagliate.
l vero motivo per cui avevamo deciso di venire in Messico era La Popa.
La Popa è una parete nel deserto alta fino a 300 metri, quasi sempre strapiombante, con pochissime linee che salgono: perché non andare a provare ad aggiungerne un’altra?
La logistica era stata complessa fin dall’inizio. La Popa si trovava a pochi chilometri da San Josè de La Popa, a circa tre ore di macchina dalla città di Monterrey. Funzionava così: in circa quattro ore di cammino da San Josè, Lupe, un messicano con due asini, ci avrebbe aiutato a salire su La Popa con il materiale per chiodare e, una volta lì, saremmo stati abbandonati a noi stessi.
Dovevamo calarci e inerpicarci tra i cactus per cercare di capire dove partire e dove salire. Ce l’avevano detto che aprire una via lì era complesso, e farlo dal basso lo sarebbe stato ancor di più, però era la nostra idea, il nostro obbiettivo.
I primi tentativi furono disastrosi. Per partire dal basso dovevamo attrezzare una linea di corde fisse di circa 250m, ma la base della parete era un posto dove non si riusciva ad attrezzare un campo, per via della fitta e inospitale vegetazione. Dopo qualche perlustrazione, facendoci largo tra i cactus appuntiti, avevamo trovato una linea apparentemente salibile.
Iniziai a provare la linea e a mettere un po’ di spit, per circa un tiro, fino a che non mi arrivò una scheggia di roccia in un occhio: ero improvvisamente cieco e mi feci calare a terra. Da lì era partito Simone, poi Max, ma purtroppo nulla da fare: tutto marcio. Non ci restava che tornare al campo.
La mia vista era temporaneamente compromessa, così Max mi teneva le spalle per direzionarmi in quell’ora a piedi, tra le piante spinose verso le corde fisse per poi risalire a jumar fino al nostro campo base.
Eravamo stanchi, avviliti e io ero distrutto per via dell’occhio.
Il giorno dopo iniziammo a parlare, discutere, confrontarci: aprire dal basso non era possibile. Non avevamo abbastanza spit e non avevamo visto una linea decente da salire.
Non ci restava purtroppo che accettare il compromesso: cercare una linea da aprire dall’alto. D’altronde, dovevamo scegliere se non lasciare nulla o lasciar qualcosa ad una comunità locale che stava iniziando da poco a capire il potenziale di un turismo basato sull’arrampicata.
A conti fatti, è stato un bel compromesso. Non è di certo lo stile che più mi piace e mi inorgoglisce, ma abbiamo realizzato una linea di 11 tiri fino all’8a su roccia ottima, un susseguirsi di muri tecnici e strapiombi a buchi su roccia grigia.
Nel corso dei lavori, una notte in cui dormivo al campo senza tenda, ma solo nel sacco a pelo, mi svegliai, a causa dei rumori provenivano dagli zaini. “Qualcosa” stava rovistando dove tenevamo il cibo, nel buio intravidi un animale simile ad un gatto. Possibile? Solo l’indomani scoprimmo che si trattava di un “cacomixtle”, una bestiola rara e magica, che di rado la gente del posto aveva avuto la fortuna di avvistare. Ed ecco che il nome della via era deciso: “El cacomixtle de la noche”.



Grazie Messico di questa magnifica e inaspettata dose di avventura!
E grazie ai miei compagni, Simone, Gio e Max per avere condiviso emozioni, tensioni, dubbi e gioie.
 

Hasta pronto Mexico!


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