Questo settembre Lorenzo D'Addario, dopo l'estate passata a lavorare come Guida Alpina facendo vivere la montagna ai suoi clienti con questa filosofia, è partito per l'India.
Appena rientrato, gli abbiamo chiesto di raccontarci, con lo sguardo dell'alpinista e la testa del filosofo, il suo viaggio spirituale.
Ciao Lorenzo, per prima cosa parlaci della squadra: chi eravate? Come avete deciso la composizione del team e la location della spedizione?
"Il team era composto da Francesco Ratti, Jerome Perroquet, Alessandro Bau' ed il sottoscritto. Una forte amicizia mi lega a Francesco, insieme abbiamo già fatto diverse spedizioni e numerose avventure sulle grandi nord delle Alpi. Il desiderio di realizzare una spedizione insieme era da tempo in cantiere, ma il lavoro e qualche piccolo incidente hanno ritardato la cosa. L'occasione è arrivata...e via ci siamo saltati dentro al volo!
Jerome, si è aggregato volentieri, e come ultimo è entrato a fare parte della squadra anche Baù.
La location è nata dal desiderio di scoprire un posto selvaggio, fuori dalle solite tratte alpinistiche, dove la componente alpinistico- esplorativa avesse un peso rilevante.
L'India ci ha ispirato moltissimo, e ci siamo attivati per organizzare la spedizione."
Muoversi in una squadra da 4 persone: come vi siete trovati? È vincente rispetto alle solite cordate da 2 o 3 componenti?
"È diverso. Si ha modo di conoscere più persone, è un rapporto di gruppo più che personale. Le cordate alpinistiche comunque, a due, tre o quattro componenti, vivono, citando il nome di una via che ho aperto a Brentino, vicino a casa, "sull'orlo di un duplice abisso". Sta alla sensibilità delle singole persone riuscire a non ferire gli altri, avendo sempre cura di non invadere il piccolo mondo che ognuno di noi a suo modo si è creato. Ma questa è una situazione che viviamo tutti i giorni. Semplicemente in cordata ed in parete è esasperata, ma questa credo sia la bellezza del nostro mondo: mette a nudo e porta all'ennesima potenza qualsiasi situazione ed emozione."
Avevate, essendo in quattro, diverse specializzazioni o diversi ruoli?
"Tra noi quattro non c'era nessun ruolo predefinito: avevamo tutti una gran voglia di scalare e stare in parete il più possibile. Avevamo poi un desiderio ancestrale di ripetere ed aprire nuove vie, personalmente sarei potuto restare un anno intero..."
Roccia o ghiaccio? Avevate le idee precise o eravate pronti a tutto?
"Eravamo pronti a tutto. L'importante era scalare, conoscere e scoprire.
Sicuramente l'apertura di nuove vie su roccia, se ce ne fosse stata la possibilità era la nostra prima scelta!"
Raccontaci le tre salite che avete fatto, diverse tra loro e ciascuna particolare.
"Arrivati al campo base ci siamo addentrati nel Takdung Glacier, per iniziare a osservare ed individuare il nostro obbiettivo principale: la Neverseen Tower.
Per prima cosa però, per prendere confidenza con l'ambiente, per acclimatarci e per studiare la logistica, abbiamo salito la Cresta sud est del "Enzo Peak": una facile cresta su roccia stupenda fino al massimo al IV grado, ma comunque una prima salita.
Sulla Neverseen Tower abbiamo aperto la nostra "Wind of Silence", una via stupenda.
Prima parte in un couloir di neve, quindi arrivano undici tiri di roccia fino al 6b+, infine 200mt di cresta nevosa. La via prende il nome dal Silenzio.
Il silenzio è stato nostro compagno durante le otto lunghe ore di avvicinamento alla Neverseen per installare il campo alto. Il silenzio è come un calderone magico dove una strega produce pozioni per creare idee e fantasie all'interno della nostra memoria.
Il silenzio è una virtù e una qualità ormai rara. In questa società e in questo mondo alpinistico è un valore che va scomparendo. La nostra squadra era composta da 4 guide, a volte non è facile accettare anche piccole scelte. La capacita' in alcuni momenti di restare in silenzio credo sia stata in qualche modo anche la salvezza di questa meravigliosa spedizione. Credo che ognuno di noi abbia ogni tanto fatto questo sforzo.
Infine il nome della via mi ricorda una canzone bellissima di Simon & Garfunkel.
Come ultima salita abbiamo aperto una via sulla Spalla del Mt. Moudit, una cima inviolata. Io, pensando a questo mondo simile a quello di Peter Pan, l'ho battezzata "The Invisible Tower": è una torre di una bellezza unica, con un granito eccezionale. Una torre che se fosse in Italia, o in Francia, avrebbe una moltitudine di vie incredibili.
Andare, guardare, decidere dove salire su una tela ancora candida, credo sia un'esperienza incredibile e così è stato per noi.
L'apparizione della torre invisibile è arrivata fin da subito, il primo giorno che siamo saliti al campo alto. La sera prima di addormentarmi guardavo la linea, fantasticavo e speravo che saremmo prima o poi riusciti a salirla.
Tra Polizia, divieti e richiami alla civiltà, maledetti fattori che sembra dovessero interrompere anticipatamente la nostra spedizione, c'è stato un incastro quasi magico che ha fatto sì che nascesse questa bellissima via.
Abbiamo chiamato la via Super Thuraya, in ricordo delle disavventure che questo nome ci ha portato. Sono 400mt di parete fino al 6c."
Avete fatto alpinismo, ma il vostro è stato anche, o soprattutto, un viaggio in una terra sconosciuta
"Il Viaggio credo venga creato dai nostri occhi e dalla nostra fantasia. Se siamo pronti ad accogliere la bellezza, il viaggio è ogni giorno. Quando a questo aggiungiamo una terra e un popolo che non abbiamo mai visto il mix è grandioso e fa esplodere un fuoco pirotecnico di una bellezza unica. Questo è il Miyar Valley e la sua popolazione."
Come hai vissuto personalmente questo viaggio e la sua preparazione?
"Io mi diverto a scalare, sempre. È la mia vita. In generale, nel mio modo di intendere l'alpinismo, la preparazione è soprattutto un fattore mentale: ad oggi sono sempre motivato, ho sempre una grande voglia di scalare, quindi mi sentivo preparatissimo ed entusiasta di partire per quest'avventura."
Cosa ti ha stupito della Miyar Valley?
"La Miyar Valley è magia pura. Un luogo che, se riuscirai ad entrarvi, ti cambierà il modo di rapportarti alle cose e agli esseri umani."
Spiegati meglio, sembra tu sia stato stregato! Pensi di tornare in Miyar Valley?
"Se potessi, ci tornerei anche domani. Il viaggio nella Miyar Valley mi ha ricordato un libro di Murakami: "Nel Segno della Pecora". Uno scenario onirico in cui il quotidiano diventa surreale e viceversa.
Un viaggio alla ricerca di una pecora, o di una montagna, la Neverseen: una o l'altra poco importa. In questo viaggio si comprende che le debolezze umane sono come delle cancrene che fanno marcire il tuo corpo.
Bisogna cercare di capire che ci sono tanti modi per superare queste debolezze, ma comunque torneranno perché nulla è privo di cambiamento.
Partire è cercare.
La dimensione della ricerca è affascinante e così e' stato per me questo viaggio, alla ricerca di una pecora con una stella sul dorso e di una montagna Neverseen."