Mario, quali caratteristiche deve avere un alpinista d'alta quota?
“Pazienza e gradualità sono le parole d'ordine. Un alpinista che inizia un percorso verso l’aria sottile degli ottomila, sempre che non usi l’ossigeno, deve iniziare gradualmente ad avvicinarsi alle altissime quote. Un suggerimento, dopo una buona esperienza sui 4000 delle Alpi, sarebbe quello di programmare qualche salita sui 6000 per poi passare a un 7000, anche facile. Io a suo tempo avevo fatto così, salendo il Pik Lenin in Pamir, o altre montagne simili.
Superato questo primo, chiamiamolo pure “esame”, che può mettere alla prova in tutti i sensi, si può pensare di provare un Ottomila. Consiglio sempre di iniziare da un 8000 relativamente facile e basso, e vedere l'effetto che fa.
Gli aspetti da affrontare sono ovviamente la fatica fisica e la gestione dello stress nello stare in alta montagna più giorni, al campo base e ai campi in quota. Non bisogna sottovalutare anche l'adattamento ad un lungo periodo lontano da casa e dagli affetti, che potrebbe in qualche modo interferire sullo stato psicologico.
La pazienza è la prima regola dell’alta quota, soprattutto nella prima fase di acclimatazione. Bisogna imparare ad ascoltare il proprio corpo, dal respiro alla concentrazione motoria passo dopo passo.
Penso sia anche importante ricercare una buona armonia e buon affiatamento con i compagni di spedizione. A volte ho fatto spedizioni con cari amici, altre volte con alpinisti che conoscevo poco. Cercare l'armonia è fondamentale per vivere bene nel presente, perché di un lungo periodo di convivenza rimanga un bel ricordo, ma anche per l’interesse comune e per la buona riuscita della spedizione.
Anche il rapporto con gli Sherpa è un aspetto importante delle spedizioni. Mi ricordo quando, al campo base del Makalu, nel 2006, avevo richiamato uno Sherpa, senza arrabbiarmi, perché aveva abbandonato il carico lungo la via di salita tra campo 2 e campo 3. Gli avevo semplicemente chiesto, usando un tono amichevole, il motivo: se lo aveva fatto perché stava male o insomma perché. La sua reazione fu immediata e accesa, inizio a urlarmi dietro battendo i pugni sul tavolo, poi in preda a una forma di pazzia o schizofrenia prese una piccozza e mi corse dietro per il campo base. Poi il cuoco cercò di calmarlo. Alla sera, piangendo, si scusò tantissimo per l’accaduto. Ovviamente lo perdonai ma non lo feci più salire in quota.
Come ultima cosa, ma non meno importante, credo che un alpinista dovrebbe studiare la storia dell’alpinismo. Leggendo i libri, si impara non solo come sono state svolte le spedizioni storiche ma anche e soprattutto si può riflettere su un’etica della montagna.”
L’unica cima sulla quale hai usato ossigeno supplementare è stata l'Everest. Ti piacerebbe tornarci senza, oppure non è nei tuoi pensieri?
“Sì, la salita all’Everest nel 2003 dal versante nord, cioè dal Tibet, era sull’orlo del fallimento. Fu un periodo assai turbolento dal punto di vista atmosferico, i jet stream soffiavano di continuo. Io ed il mio compagno, raggiunto il campo 3 a 8300 mt, trovammo per caso delle bombole usate, lasciate da una spedizione spagnola.
Non era nel nostro programma l'uso dell’ossigeno, ma quella notte che partimmo per il tentativo di vetta ci prendemmo due bombole a testa mezze vuote, perché il vento con raffiche a 100 km/h non ci dava tregua.
Ho ritentato l’Everest senza ossigeno nel 2008 da sud. Salii fino a circa 8700m, sotto la cima sud, ma arrivò il brutto tempo che mi fece desistere.
Quindi si, l'Everest è nei miei pensieri, mi piacerebbe riprovarlo e forse un giorno lo farò.”
Come è cambiato il mondo delle spedizioni in Himalaya in questi anni?
“Il mondo delle spedizioni in alta quota è diventato un business per le agenzie che organizzano le spedizioni, in particolare sugli Ottomila. Fanno a gara per pubblicizzarsi e si inventano delle novità per attrarre più turisti, ad esempio con proposte di concatenamenti veloci e viaggi in elicottero o con gli Sherpa che preparano già la via di salita prima del tuo arrivo al campo base. Poi accolgono gli alpinisti con il super lusso di qualche confort in più, non solo al campo base ma anche ai campi più alti. La conseguenza di tutto questo caos, oltre a lasciare spesso troppo materiale e spazzatura sulla montagna, è un aumento del rischio e della pericolosità. Rispetto al passato tanta gente va in altissima quota senza avere adeguata preparazione alpinistica e senza essersi prima testata a quote più abbordabili.
Nonostante l'alta frequentazione generale, qualche Ottomila, e mi riferisco a quelli più complicati e difficili, lo si trova ancora poco frequentato e si può vivere così delle belle avventure. Sul Gasherbrum 1 nel 2021 eravamo solamente in 5 alpinisti ed è stata una bellissima esperienza.”
L’ultimo Ottomila che ti manca non è né il più alto né il più difficile. Cosa ti ha guidato nella scelta dei vari obbiettivi nel tempo?
“Si tratta dello Shisha Pangma, cima che in realtà ho già provato due volte. Nel 2004 mi fermai con Cristina Castagna sulla cima centrale di 8013 metri: c’era troppa neve per continuare lungo la esile cresta che porta alla cima principale. Preferimmo non rischiare e tornata al base accontentandoci di una cima “minore”.
Lo riprovai poi nel 2018 con il trentino Sebastiano Valentini. Eravamo in forma ma quando ci trovammo al campo 3 per il tentativo di vetta, ci ci arrivò la notizia che il governo cinese aveva chiuso la montagna perché un alpinista solitario, il bulgaro Bojan Petrov, era scomparso. Noi fummo costretti a scendere ed a rinunciare così alla vetta.
Ora, dopo tre anni di chiusura causa covid, la Cina ha finalmente riaperto. Partirò quest'autunno, anche se i prezzi sono aumentati fuori misura. Il costo si aggira tra i 35000 ed i 45000 dollari. Spero che i miei sponsor mi aiutino un po' per quello che potrebbe essere il coronamento del mio sogno.”
Da quanti anni utilizzi calzature SCARPA? Come è cambiata la calzatura d'alta quota da quando hai iniziato ad ora?
Utilizzo calzature SCARPA in generale da sempre. Per quanto riguarda quelle specifiche d’alta quota, SCARPA sta da qualche anno investendo molto su ricerca e qualità, facendo passi da gigante. Ora con il nuovo Phantom 8000 siamo sicuramente al top: l’ho provato e testato nelle ultime spedizioni, è davvero eccezionale.
Se ripenso alle prime calzature d’alta quota che ho utilizzato, si parla di 27 anni fa, erano insufficientemente calde, fredde e pesanti. Mi ricordo di alcune situazioni critiche, con freddo e vento sopra i 7000 metri, di notte durante il tentativo di cima. Questo è il momento più freddo e delicato per chi sale senza ossigeno, perché ovviamente il rischio di subire dei congelamenti aumenta moltissimo. Inoltre i modelli di allora erano fatti di materiali pesanti. Da un po' di anni per fortuna le cose sono cambiate con scarponi più leggeri, confortevoli e caldi.”
Pensi che il raggiungimento del tuo 14esimo e ultimo Ottomila rappresenterà per te un punto finale con le spedizioni?
“Sicuramente non sarà la mia ultima spedizione in alta quota. Farò fatica ad allontanarmi da quel mondo, ma se un giorno deciderò di farlo sarà sicuramente per un buon motivo.”
Che consigli daresti a un alpinista "medio" che vuole approcciarsi oppure è affascinato dall'alta/altissima quota?
“Gli consiglierei di fare le prime esperienze con Guide Alpine e alpinisti esperti, con già qualche Ottomila alle spalle. Deve poi munirsi di tanta dedizione e pazienza, iniziando passo dopo passo. Nel mondo dell’alta quota conta molto la respirazione e la gestione della fatica, questo lo si impara anche sulle nostre Alpi.”