“Scendere una nuova linea a vista è lo stile più etico ed elegante per sciare una montagna. Solo così si conserva l’elemento che per me è il più importante, l'incognita e di conseguenza l'avventura. Questo implica la capacità di innestare nella discesa non solo il gesto tecnico, ma anche l'intuito, l'istinto, la capacità di valutazione e la fantasia, quei sensi che mi permettono di trarre le più ricche emozioni. Del resto, quando sali dallo stesso versante della discesa, una volta arrivato in cima ne conosci ogni minimo particolare, ogni dettaglio. E avendo già la certezza o meno di riuscire a sciarla, le togli quel po' di incognita che da sempre alimenta un'avventura”.
Ma non è rischioso buttarsi in braccio alla gravità senza conoscere dove andranno i tuoi sci?
“Deve essere fatto tutto con estrema precisione, ma se fai qualcosa di nuovo devi accettarne anche le incognite e gestirle con intelligenza. Del “già fatto” puoi conoscere ogni dettaglio, ma di una cosa nuova non puoi sapere nulla fino al momento in cui la fai. Io cerco sempre di osservare la possibile traccia dal basso, di valutarla e di studiarla per capire le difficoltà principali, i punti facili e quelli più impegnativi. In ogni caso, è necessaria, quando si scende, la capacità di interpretare la linea e di leggerne i punti più nascosti. Non è possibile sciare ovunque così, ma dove posso cerco di mantenere questo stile, il mio stile. Non è certo una regola assoluta, anzi: il bello è che ognuno può interpretare lo sci e la montagna nel modo che preferisce. Ma a me piace così”.
Come mai hai deciso di vivere queste avventure sempre in solitaria? Non sarebbe più facile essere in due?
“Partiamo dal presupposto che amo sciare con i miei amici, condividere la neve, le giornate e il divertimento in buona compagnia. Molto spesso partiamo per le escursioni in grupponi numerosi, ed è sempre fantastico. Ma quando affronto lo sci ripido, quando mi metto alla prova nelle nuove discese sono sempre andato da solo. Questa solitudine mi permette di vivere di più il momento, di percepire più intensamente me stesso e di avere una connessione più forte con tutto quello che mi circonda. Lo sci diventa anche un dialogo introspettivo, un'esperienza diversa, una cosa di cui ho bisogno. Sì, a volte sarebbe più facile essere in due, sia per la salita che per la discesa, magari per dividere e condividere emozioni, gioie, dubbi e paure. Ma come ho già detto lo sci ripido per me rimane un viaggio solitario e mi piace che sia così”.
E non ti capita mai di avere paura?
“Sì, certo. La paura è una sensazione con cui convivo da sempre, un po' in tutti gli ambiti della vita. La paura non va eliminata, va ascoltata perché è quella sensazione che ti permette di avere una grande lucidità, di non sottovalutare nulla, neanche la più piccola cosa e rende sicura un'azione anche potenzialmente molto pericolosa. Ma soprattutto è quella sensazione che a volte ti suggerisce di fermarti, che ti fa intuire che è il momento di fare un passo indietro”.
Parlando infine del tuo lavoro da maestro di sci, qual è l’elemento che ti piace di più?
“Indubbiamente la cosa che più amo è lavorare con i bambini. Creare un rapporto con loro mi appaga, mi fa stare bene. È un lavoro di grande responsabilità, perché non si tratta solo di insegnare a sciare o a muoversi tra i boschi e la natura, ma la cosa importante è il trasmettere le giuste emozioni, l'amore per ciò che si sta facendo e per i luoghi in cui abbiamo la fortuna di muoverci”.
Credits: Martina Valmassoi