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SEAN VILLANUEVA SULLA MIRROR WALL

Sean, l'anno scorso hai detto che è importante lasciarsi la possibilità di fallire, perché altrimenti le avventure sarebbero vuote e sterili. Quando hai pensato che saresti tornato in Groenlandia per confrontarti un'altra volta con la Mirror Wall?

"Quando l'anno scorso abbiamo deciso di scendere, abbiamo buttato giù le doppie per calarci e già  sapevo dentro di me, in quello stesso istante, che avrei voluto tornarci: è semplicemente una linea troppo bella, su una delle pareti più spettacolari del mondo. Il mio cuore e la mia anima esistono e sono vive per poter arrampicare, e quando non siamo riusciti a superare quella sezione di roccia liscia ero davvero scoraggiato. Mi sentivo allo stesso tempo così vicino e così lontano dal riuscirci. Ero stato però davvero contento che non fossimo scesi a compromessi nel nostro stile di salita e di aver accettato il fallimento come un'esperienza positiva. Salire in arrampicata artificiale alcuni metri sarebbe stato facile, bastava piantare degli spit vicini e questi ci avrebbero permesso di arrivare molto probabilmente in cima. Ma non era quello che volevamo, non era l'esperienza che eravamo andati a cercare in Groenlandia.
Questo tipo di spedizione è un grande investimento, i compagni dell'anno scorso (Nico Favresse, Ben Ditto e Franco Cookson) non avevano voglia di tornarci, quindi una volta tornato a casa mi sono attivato per mettere su una nuova squadra."
 

Cosa provavi all'idea di tornare su quella via che ti aveva già respinto una volta?

"Ero molto timoroso. Non ero per niente sicuro che ce l'avremmo fatta! Nonostante questo però era molto importante per me continuare l'avventura con lo stesso stile dell'anno precedente e non accettare compromessi."


 

Che probabilità di successo ti davi?

"A ripensarci adesso, forse direi un buon 20%, provando a salire sulla stessa linea dell'anno precedente. Pensavo però che forse sarebbe stato possibile trovare una variante, un'altra strada. Comunque tutto ciò non mi interessava molto in realtà. Ero pronto ad accettare la sfida e a dare il meglio di me stesso. Al raggiungimento della cima, al successo, non ci pensavo proprio.

Sono stato molto chiaro con i compagni di spedizione che ho coinvolto quest'anno (Pete Whittaker, Julia Cassou, Seàn Warren, Keita Kurakami, Takemi Suzuki): gli ho detto fin da subito che si trattava di una sfida enorme, e che la probabilità di fallire era molto alta.

Keita Kurakami è morto per un attacco cardiaco appena due settimane prima della partenza. È stata una mazzata per la nostra spedizione e comprensibilmente il suo grande amico Takemi ha scelto di non venire.
Noi abbiamo deciso di partire.

Keita aveva un nome, da suonatore di flauto Shakuhachi: “龍心 (Ryu-shin). Si traduce dal giapponese in "Cuore di Dragone".

La via che siamo riusciti ad aprire (1000 metri, difficoltà di 8b/R/A2+, grado obbligatorio 7b+/R/A2+) si chiama così ed è dedicata a lui, il nostro compagno di scalata, il nostro amico.

È stato di grande ispirazione, pensandolo abbiamo dato il meglio di noi stessi e mantenuto ferrea la nostra etica di arrampicata."
 

 

Non volevate salire in arrampicata artificiale tra gli spit: solamente arrampicata libera oppure artificiale impegnativa. Senti che c'è qualcosa che avreste potuto affrontare o fare meglio?

"Penso che siamo saliti con lo stile migliore possibile rispetto a noi ed alle nostre capacità. In totale sui 1000 metri di parete ci sono 27 spit, soste comprese. Non ho mai piantato così tanti spit su una via, perché preferisco lasciare le vie più naturali possibile, ma questa parete non aveva abbastanza fessure e punti di debolezza dove piazzare protezioni removibili.
Tranne un paio di spit lasciati ad una sosta per i portaledge, penso che tutti gli altri spit che abbiamo piantato erano davvero necessari per la nostra incolumità.
Qualcuno più forte, più bravo o più coraggioso avrebbe potuto fare di meglio? Forse si. Io meglio di così non avrei saputo fare."

 

È stata una spedizione lunga 43 giorni, non proprio breve.

"Per me una spedizione veloce stile "fast food" non ha senso. Si pone troppa attenzione solamente su quella che è la performance, e non abbastanza sull'esperienza: si consumano le montagne e basta. Premendo solo sull'acceleratore, secondo me, ci si perde l'essenza delle cose, ci si dimentica di vivere. Non sono io a decidere quanto tempo passare in una spedizione, lo decide l'obbiettivo che ho in testa. Ovviamente mi rendo conto che è un privilegio poter scegliere di dedicare tempo a questo tipo di avventure."

 

Come ci si sente quando si torna a casa dopo così tanto tempo?

"Per me la parte più difficile è andarmene dai posti stupendi nei quali sono stato, mi mette tristezza. È però sempre bello tornare dagli amici, dalla famiglia, e trovare tutte le piccole grandi comodità della "civilizzazione". L'acqua calda, il riscaldamento, il cibo fresco, un letto non sono cose da dare per scontate..."


Dopo 12 giorni in parete siete arrivati in cima. Dove avete trovato la motivazione per passare altri 6 giorni in parete cercando di liberare i tiri mancanti?

"È stato facilissimo, non abbiamo avuto bisogno di motivazione extra! Il giorno dopo la cima eravamo davvero stanchi e ci siamo presi un giorno di riposo totale. Tutti e quattro però concordavamo sul fatto che era bellissimo stare là e che avremmo passato in parete più tempo possibile. Lo abbiamo vissuto come un enorme privilegio. Quante volte nella vita una persona potrà trovarsi sulla Mirror Wall? Probabilmente non tante...
Non c'è niente di banale laggiù, solamente raggiungere la parete è un viaggio complesso e laborioso. Una volta che sono arrivato a toccare la parete...avevo semplicemente voglia di starci dentro il più a lungo possibile!"
 


 

Nonostante tutto sono rimasti 3 tiri da liberare. Pensi che tornerai?

"Mai dire mai...ma non credo. Quando si pianifica una spedizione alpinistica in quella zona utilizzando la barca a vela bisogna fare i conti con lo scioglimento del ghiaccio a fine luglio e la fine dell'estate in settembre. Considerando un minimo di 10 giorni per portare a piedi tutto il materiale avanti e indetro dalla parete, 20 giorni penso sia il tempo massimo a disposizione da passare in parete in una stagione.
Penso sia molto molto difficile per me riuscire a liberare quei tiri mancanti e scalare tutto il resto della via in così poco tempo. Forse avrei qualche chance in più se quei tiri fossero nella mia falesia di casa, ma penso che li lascerò là per qualcuno più forte di me!"
 

Hai fatto grandi salite in cordata ed eccezionali salite solitarie. Quali sono le tue sensazioni, ci sono diversi tipi di soddisfazione?

"Scalare in cordata e da solo sono avventure molto diverse. In cordata si è una squadra: è importante lavorare insieme, prendere decisioni insieme, supportarsi e rispettarsi, scendere a compromessi.
Quando sei da solo invece...fai tutto da solo! Prendi le decisioni e fai quello che c'è da fare. Ovviamente quando sono parte di una cordata, questa sarà per forza più forte di quanto possa essere io da solo. Se poi siamo riusciti a progredire bene e relativamente agevolmente quest'anno è stato anche grazie agli sforzi dell'anno passato. Sono estremamente grato a ciascuno dei miei compagni di cordata che hanno condiviso con me questi due anni di avventure, compresi Keita e Takemi. Tutti sono stati dei compagni straordinari!"

 

La parete è come uno specchio. Pensi che provare ad essere una persona migliore ti aiuti in qualche modo ad essere uno scalatore più bravo?

"Decisamente si! Essere una persona migliore significa essere più equilibrati, avere un'energia positiva, essere in un mood più adatto all'arrampicata. E la parete può riflettere gli aspetti positivi e negativi che uno si porta dentro. In ogni caso è molto più importante essere una brava persona piuttosto che un bravo scalatore. Io...ci sto lavorando. Per me, quando parto per un'avventura, è fondamentale assicurarmi di avere chiare le mie motivazioni personali: alcune volte mi aiuta scriverle proprio su un pezzo di carta. Ho scoperto così che non preoccuparmi del risultato, del successo o del fallimento, mi rende più forte, e rende anche l'esperienza più forte.
Non posso controllare il tempo, le condizioni, la roccia.
Non serve a niente lamentarsi o volere che le cose siano diverse da come sono.

Quello che posso però è fare del mio meglio, decidere di vivere appieno e gustarmi ogni istante!
 

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