Ciao Stefano, raccontaci perché hai deciso di salire proprio questa via
Questa via è stata la prima salita in Dolomiti che ho compiuto con Silvia Loreggian, era il 2016 e ci eravamo conosciuti da poco. Allora fu una bella sfida che ci aiutò a consolidare la nostra cordata ed iniziare a sognare progetti futuri. Prima della salita solitaria invernale di quest'anno, quindi, avevo già un bellissimo ricordo di Moulin Rouge.Inoltre conoscevo e apprezzavo lo stile di apertura dei primi salitori, avendo ripetuto molte vie di Cristoph Hainz e compagni: i chiodi, dove servono, ci sono e solitamente sono anche ben piazzati. Durante la mia salita ho dovuto ribattere giusto un paio di chiodi di sosta, ma relativamente poco importanti visto che le soste sono spesso su 3 o addirittura 4 punti.
Ci tenevo a ripetere una via aperta dal basso con il solo uso di chiodi tradizionali provando a scalare il più possibile in libera senza fare artificiale. Non sono assolutamente contro gli spit in montagna, anzi, ma avere anche solo le soste con uno spit avrebbe cambiato le carte in tavola e sicuramente non avrei vissuto la stessa avventura.
Perché in solitaria?
Mi hanno sempre ispirato e motivato le realizzazioni in solitaria dei grandi alpinisti del passato e dei giorni nostri.Inoltre, nel mio percorso di apprendimento e crescita come alpinista, ho sempre sentito il bisogno di dovermi misurare e di avere delle conferme sulla strada che stavo percorrendo. Moulin Rouge è stata una di queste.
Perché in inverno?
Avevo iniziato a pensare ad una solitaria su Moulin Rouge in veste estiva, magari con il parapendio. Complici però gli inverni sempre più scarsi di neve e le temperature in rialzo, ho sognato e immaginato la possibilità di una salita invernale, con un po’ di ingaggio in più. Così, quando ho visto l’ultima finestra di bel tempo di fine marzo, ho deciso che era il momento di fare lo zaino e partire.Hai fatto molte solitarie nella tua vita?
Direi di no. Anche se ci penso spesso, faccio prove e ragiono sulle tecniche e sui materiali, non posso certo ritenermi un veterano del rope solo (ndr: salita in solitaria con la corda, a differenza del free solo nel quale la corda non c'è). Mi sono preparato alle manovre di autosicura in falesia e nell’inverno 2022 ho salito la Delenda Cartago alla prima torre del Sella. Tutto era andato bene e avevo programmato la salita alla Roda di Vael per la settimana successiva, ma per diversi impegni ho poi dovuto rinviare. Alla fine ho posticipato il progetto all’inverno seguente.Quale l'incognita che più ti preoccupava della salita?
Sicuramente il non riuscire ad arrivare in cima prima del buio.La parete è molto strapiombante ed i tiri della via vanno spesso in traverso. Una discesa in doppia da solo mi sarebbe costata molta fatica e materiale da abbandonare.
In più la parete non offre mai posti comodi dove poter eventualmente bivaccare, se non negli ultimi due tiri. A quel punto, però, sarei stato vicino alla fine ed avrebbe avuto più senso continuare al buio. Ho quindi deciso di scalare leggero e non portare sacco a pelo e fornello, cercando di arrivare in cima in un giorno solo.
Quale invece la parte che si è rivelata effettivamente essere la più impegnativa?
La parte finale della via, probabilmente complice la stanchezza, è stata quella in cui ho sofferto di più. Per non perdere tempo ho mangiato e bevuto veramente poco durante il giorno. In alcuni tiri, per evitare che il saccone si incastrasse, ho deciso di attaccarmelo all’imbrago mentre risalivo. Questo mi ha portato a stancarmi velocemente ed a soffrire di crampi alle braccia nelle ultime tre lunghezze della via.È stata dura come ti aspettavi, di più o di meno?
È stata sicuramente più stancante di quello che pensassi: essere da soli comporta molto lavoro in più, fai e disfi soste in continuazione, prepari ogni tiro nel minimo dettaglio per evitare intoppi che ti possano far perdere tempo prezioso. Ad ogni tiro filavo le corde dentro ai sacchetti porta corda, frazionavo la corda fissata per la risalita mentre mi calavo e stavo molto attento nel gestire il lower out del saccone.Devo essere sincero, ho avuto il mio gran da fare per cercare di arrivare in cima prima del buio: ho lavorato a testa bassa senza interruzione e forse questo ha fatto si che non avessi molto tempo di lasciare andare liberi i pensieri ed emozionarmi.
Solo quando, con la luce rossa del tramonto, mi sono assicurato all’ultima sosta sotto al plateau sommitale, ho capito che ce l’avevo fatta e l'emozione, si, è stata molto forte.
Parlavi ad alta voce con te stesso? Come è stato il tuo dialogo interiore?
Parlo sempre da solo :) A volte a voce alta ed altre volte mentalmente. È una cosa che mi aiuta molto a ragionare ed a prendere decisioni nei momenti difficili. Cercavo di analizzare la situazione ad ogni tiro, sia in salita che in discesa, parlando e ripetendo a voce alta cosa stavo facendo. A volte parlare da soli aiuta anche a non sentirsi soli ed a rendere più “normale” la situazione.Scalando da solo eri sempre in movimento, mai fermo. Hai tolto ogni tanto le scarpette durante la giornata?
Prima di partire ho guardato le varie scarpette a disposizione ed alla fine ho optato per un paio di Scarpa Boostic abbastanza larghe da non essere dolorose, ma che comunque usavo in falesia come scarpetta precisa. Questa scelta mi ha obbligato di conseguenza ad arrampicare senza calzini, e nella prima parte della via ho un po’ sofferto il freddo.In sosta sfilavo sempre il tallone e, quando la sosta mi permetteva di muovermi, mi rimettevo i Phantom tech per la risalita. Non sempre è stato possibile, anche perché non volevo perdere tempo prezioso. Negli ultimi tiri i miei piedi erano veramente messi male.
D'altra parte, avere le Boostic per l'arrampicata in libera è stato il top: scalavo bene e mi davano molta sicurezza nei passaggi più difficili.
Vedi altre solitarie impegnative nel tuo futuro?
Alcuni progetti in testa ce li ho, ma non voglio che diventino delle ossessioni. Se avrò la giusta combinazione di elementi, come è successo per la Roda di Vael, partirò molto volentieri. Per ora non ho nessun progetto fissato.Qual è stato il momento più bello della tua salita?
Quando mi sono assicurato all’utima sosta ed ho visto la neve del plateau sommitale a pochi metri di distanza, ho realizzato che finalmente potevo mollare l’acceleratore: ce l’avevo fatta! Gli ultimi raggi del sole si vedevano in lontananza, mi sono calato a recuperare il materiale, ho messo gli scarponi ed ho acceso la frontale. Il buio è calato proprio mentre iniziavo a risalire la corda, timing perfetto.Il momento più brutto invece?
C’è stato un momento brutto fisicamente ed uno "spiritualmente", se così si può dire.Mentre arrampicavo il terzultimo tiro, di VIII+, affrontando il tetto finale mi sono esplosi i crampi alle braccia ed alle mani. Mi sono appeso a un chiodo con il fifi ed ho iniziato a pensare che ero proprio alla frutta ed a come avrei fatto a continuare in quelle condizioni. Mi sono tolto le scarpette e sono rimasto qualche minuto lì, fragile e appeso in compagnia dei miei pesanti pensieri. Poi ho stretto i denti, mi sono fatto forza ed ho lottato fino alla sosta. Ero sfinito, ma sapevo che i tiri duri erano sotto di me ed ho continuato a testa bassa fino alla cima.
Quello spirituale invece riguarda il ritorno alla civiltà il giorno successivo. Non mi pesa stare da solo, anzi, ma il contatto con il mondo mi ha reso un po’ triste. Arrivato al parcheggio vedevo solo sciatori da pista che si preparavano a scivolare sulle lingue di neve sofferenti in mezzo ai prati, pronti per una giornata ai miei occhi senza senso. Avevo appena vissuto un’avventura incredibile proprio sopra le loro teste, ma nessuno si era accorto di nulla. Io ero lì, tra loro ma ancora da solo, un puntino colorato nel mezzo di tanti puntini bianchi.