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IL VIAGGIO DI PABLO DENTRO IL TOR DES GLACIERS

L’esperienza e la resilienza non ti mancano di certo. Hai qualche ricordo delle passate edizioni che vuoi condividere nei giorni della vigilia della gara?
“Sicuramente l’edizione del mio d’esordio, quella del 2011: è stata fantastica. Sono arrivato terzo dopo essermi presentato da solo, senza assistenza, senza sapere quello che sarebbe accaduto. Durante la gara sicuramente mi sono perso tanti paesaggi e tante esperienze, ma ero concentrato sul risultato. Ho capito nelle successive edizioni che il Tor è un viaggio di condivisione. Nel 2016 sono arrivato di nuovo terzo, impiegandoci sei ore in meno. Avevo quarant’anni, ero invecchiato ma ho vissuto il percorso godendomi ogni tratto, un viaggio sportivo e sentimentale senza paragoni”.

Poi però in una gara come questa non mancano mai le crisi. Te ne sono mai capitate?
“Le crisi capitano sempre, serve solo convincersi del fatto che prima o poi finiscono. Io nel 2013 ero in formissima, poi il mio corpo è come collassato. Mi son fermato in un rifugio e non riuscivo a ripartire. Ma lì è accaduta la magia del Tor. Ho conosciuto Bruno Brunod, una leggenda per noi trail runner, ho dormito ritardando due volte la sveglia, e poi siam ripartiti assieme. Alla fine ci siamo anche scambiati i pettorali per ricordo, siamo rimasti amici. Dentro ogni crisi c’è forza nuova da scoprire, se le tabelle di marcia non vengono rispettate non c’è nessun problema. Al Tor, l’importante è arrivare”.



Molti ti chiedono consigli nella gestione di una gara così lunga. Col sonno, ad esempio, come fai?
“Dopo anni di esperienza ho capito che il mio corpo ha bisogno di mezz’ora di sonno ogni ventiquattro ore. Cerco di riposare sul finire della notte, così inganno il mio cervello che quando vede il sole spuntare trova nuove energie nei muscoli. Non funziona sempre così, a volte il corpo cede e allora devo riposare più a lungo. Per questo credo che la risposta sia diversa per ogni persona. Serve testare il proprio corpo, metterlo alla prova ma senza mai arrivare al punto di non saperlo controllare. Il rischio in un viaggio come questo è enorme. E chiaramente serve arrivarci preparati, chi tenta il Tor deve conoscere almeno la dimensione delle cento miglia”.

A questo punto non resta che attendere lo start e poi potrai iniziare questo nuovo viaggio. Dovessi immaginarti al traguardo, che fotografia scatteresti?
“La classifica non conta, questo è certo. Mi immagino mentre corro con mio figlio Pablo in braccio verso il traguardo. Ha due anni, sarà il suo primo Tor. E poi lì vorrei trovare mio padre e la mia fidanzata. Pronto a ripartire per altri trenta chilometri. E quella sarà davvero la chiusura del cerchio”.
 
 
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