Silvia, congratulazioni per il risultato. Non deve esser stato semplice prepararsi ad un evento di questa portata. Come hai vissuto i giorni della vigilia?
“Ad esser sincera ero molto stressata. Sapevo di poter fare bene, c’era chi mi considerava tra le favorite. Mi hanno telefonato molti giornalisti, volevano tutti sapere come stavo. Mi sentivo quasi sopraffatta dalla tensione”.
Poi finalmente è arrivato lo start, e ti sei potuta sfogare. Hai capito subito che tutto andava per il verso giusto?
“Quando comincio a correre riesco davvero a dimenticare tutto e a concentrarmi solo sulla performance: tengo sempre lo sguardo a terra. Visto che di solito cado molte volte, voglio evitare sassi in bilico o passaggi scivolosi. La partenza è stata veloce, come ogni anno, per evitare l'ingorgo sul primo sentiero. Poi ho innestato la marcia lenta, ed è iniziata l’avventura”.
Sei rimasta in gruppo solo nella prima parte di gara, come è andata?
“Ho impostato il ritmo sulla salita al Colle d’Arp, cosa rara per me: salivamo lentamente. Poi sono scesa a La Thuile accompagnata da alcuni spagnoli: si chiacchierava, un bel clima. Sulla salita successiva Lisa Borzani mi ha sorpassata. L’ho seguita a distanza, c’era anche un ristoro; l’ho raggiunta di nuovo: ma non riusciva a parlare, diceva che le mancava l’energia. Sono andata avanti e da allora non l’ho più vista”.
È iniziata quindi la tua volata in solitaria.
“In effetti da allora gli unici dialoghi sono stati coi volontari dei rifugi. C’era anche mio marito ad assistermi, ma lo vedevo solo ogni tanto. Anche Marco De Gasperi è stata una presenza costante, appariva nella mia corsa solitaria per incitarmi. Non è stato semplice, mi annoio molto se non posso condividere momenti ed emozioni con gli altri runner, ma durante una gara così lunga è inevitabile”.
A livello fisico hai dovuto superare anche qualche crisi?
“In realtà i problemi di stomaco sono arrivati molto presto. Credo che il caldo eccessivo che c'era nella zona di Cogne mi abbia colto alla sprovvista e non ho bevuto abbastanza. Ho iniziato con un mal di pancia che mi impediva di mangiare. Non mi era mai successo prima: non potevo bere, solo a pensarci mi veniva da vomitare. A Champoluc mi sono accorta di essere disidratata quando ho notato che mi si gonfiavano le gambe. Da lì in poi mi sono sforzata di mangiare e bere di più, così sono riuscita a tenere a bada la crisi”.
Quando è stato il momento preciso nel quale hai capito che ormai ce l’avresti fatta?
“Non amo festeggiare la vittoria negli ultratrail prima di arrivare al traguardo. Ci sono sempre mille rischi, basta mettere male un piede o inciampare nell’ultima discesa per rovinare ore di fatica e mesi di allenamento. Devo dire però che quando siamo giunti al Col de Malatrà e avevo più di tre ore di distanza dalla seconda in classifica mi sono sentita più rilassata”.
A quel punto è arrivata la gloria e la vittoria. A chi dedichi questo successo?
“Voglio dedicarlo a due persone che stanno attraversando momenti difficili in questo periodo: il mio allenatore Kepa Larrea e il mio collega Osane Ibabe. Loro mi sono stati vicini negli anni e nei momenti brutti che ho avuto in gara, meritano questa vittoria quanto me”.
Adesso sicuramente vorrai riposarti. Ma non durerà a lungo: a che altre mete ambisci?
“Ora la mia priorità è recuperare bene fisicamente e godermi un po' questo risultato. È stata una stagione lunga e voglio passare un po' più di tempo con la famiglia e gli amici. Inizierò anche a preparare il calendario dell’anno prossimo. Di sicuro sarà una annata entusiasmante, ma per ora fatemi festeggiare questo Tor”.
Photo credits: Jose MIguel Munoz
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